BLACK LANDS, A Tribute To Africa

BLACK LANDS, A Tribute To Africa

“Cerco un po’ di Africa in giardino, tra l’oleandro e il baobab”: la canzone la conosciamo tutti, e l’Africa per tanti è una cartolina, una malattia, una chimera e – per alcuni sconsiderati in questi tempi tristi e devasta(n)ti – una minaccia. Invece, per Andrea Morelli (sassofoni e flauto) Asmara, la capitale dell’Eritrea, è stata casa durante l’infanzia: il musicista sardo, in duo con la pianista e musicologa Silvia Belfiore, torna dunque a casa in dieci tracce che, spaziando dalla Nigeria al Ghana, dal Sud Africa all’Etiopia, dalla Sardegna agli Stati Uniti, compongono le tappe di un viaggio vissuto con intensità, cura, dedizione. Il beat ternario di “Ukom – Talking Drums” apre il sipario su questa Africa personale e universale, ecumenica, tra pastori con i flauti (“The Sheperd With The Flute”, dell’etiope Girma Yifrashewa, una nenia antica come un vento secolare) e ombre di Novecento. Intelligente e coraggiosa la scelta di confrontarsi col gigantesco Duke Ellington per una versione di “Fleurette Africaine” raccolta e misteriosa, che preserva intatto il guscio armonico di questo tema immortale, indugiando su silenzi che aprono panorami. Dopo il raccoglimento pensoso è il tempo della festa, e allora la melodia ariosa di “Herero Wedding Dance”, poi la delicata epifania di “Ngulu – Moving Alone”, quasi uno scrigno per bambini, entrambe del ghanese Fred Onovwerosuoke. Apparizioni di spiriti dell’acqua, altre danze nuziali come songs rotonde e accoglienti (“The Wedding Song”, di Abdullah Ibrahim aka Dollar Brand): la padronanza della materia da parte del duo è totale, anche se per il mio orecchio la ricerca di qualche spigolo in più avrebbe giovato al lavoro. Ponendosi però in qualche modo con un’attitudine filologica nei confronti di questi materiali, il disco non poteva probabilmente suonare in maniera differente, anche se poi arriva il suo vertice assoluto a smentirmi: un pezzo che apparentemente con l’Africa ha poco a che fare, “Mysterious Adventure” di John Cage, con il pianoforte preparato a travestirsi da percussione iterativa per un’esplorazione sottile e densa degli enigmi della ripetizione e delle viscere del suono. Chiude una composizione autografa di Andrea Morelli, “Goodnight Asmara”, un brevissimo haiku melodico che ci lascia con la curiosità di sentire cosa potrebbe accadere in futuro con solo un pizzico di incoscienza in più, visto che talento, rigore e conoscenza non mancano.