BENNETT, II

Secondo capitolo per i Bennett. Ve li avevamo già presentati al debutto uscito nel 2017, non poco tempo fa viste le tempistiche con cui oggi si consumano dischi (e gruppi), ma del resto non parliamo di ragazzini alle prime armi quanto di una sorta di all star game con musicisti da Chambers e Disquieted By, solo per fare un paio di nomi da sempre nel nostro radar. Il nuovo disco conferma come la formazione ami giocare con i contrasti tra melodie sghembe, energia hardcore e aperture che lasciano passare sprazzi di luce, con accordi che risuonano pieni per inondare di suono la stanza. Le pennellate sono comunque delicate, per quanto non manieriste: non c’è quasi mai una vera e propria aggressione, quanto una sottile decostruzione della canzone, che si sgretola e si ricompone per poi esplodere – come dicevamo – con queste fiammate di colore che illuminano il tutto. Si avverte una pulsione ad aumentare il gradiente melodico e la capacità di catturare l’ascoltatore in una rete sonora a cavallo tra certe derive postcore tardi anni Novanta e le evoluzioni del nuovo millennio: di sicuro hanno dalla loro una freschezza e una personalità tali da rendere il tutto (in)credibilmente attuale e sul pezzo. Quello che colpisce in questo secondo capitolo è la capacità di scrivere pezzi che pur senza seguire per forza la canonica forma canzone e flirtando in maniera evidente con il noise-rock riescono comunque a suonare orecchiabili e facili da ricordare, con una leggerezza che non è mai mancanza di energia o decisione nell’aggredire gli strumenti, come dimostra “Hurricane”, perfetto esempio della forma cangiante quasi screziata cui i Bennett amano affidare il proprio messaggio. A guardare più lontano nel tempo, si avverte persino l’ombra dei Government Issue, maestri nel mischiare le carte in tavola, dei Quicksand e in generale di quelle band che hanno saputo andare oltre la banale riproposizione di un suono per proporne una variante più instabile, dai contorni imperfetti, tremolanti ma mai imprecisi. Verrebbe da dire che siamo di fronte a un deciso balzo in vanti, in una spiccata voglia di dare la spallata per cercare un proprio marchio di fabbrica che oggi appare davvero dietro l’angolo, per cui si gioca senza paura di aggiustare le coordinate o cambiare l’equilibrio degli ingredienti, perché quattro anni non sono pochi e il risultato dimostra come il tempo sia stato speso per affinare e portare a pieno regime la macchina. In soldoni, un disco ambizioso eppure accessibile, cui ci si può avvicinare con uno sguardo di insieme cogliendo l’immagine, oppure concentrarsi da vicino sulle singole pennellate e sui dettagli.