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Beak

E due (“l’originalità” del titolo continua ad essere specchio del “prodotto” stesso): il progetto di Billy Furer, Matt Williams e Geoff Barrow (il reale motivo del seguito ottenuto, possiamo dirlo) continua nonostante si avvicini il quarto Portishead e Geoff abbia in cantiere anche un progetto hip hop (Quakers) su Stones Throw. Il beat squadrato di “Spinning Top” e il duetto iniziale “The Gaul” e “Yatton” ci ricordano che il suono non ha nulla, ma proprio nulla, di nuovo nel suo continuo vagare per la zona d’interregno tra spunti di plumbeo trip hop (passato in lavatrice) e girandole ritmiche al 100% kraute, come in “Liar” ed “Elevator”. Rispetto all’esordio è positivo come tutto appaia più rifinito e più a fuoco. Il difetto del primo Beak> stava proprio nel lancio a casaccio di ottime idee, scaturite da una creatività che ne basta mezza per riuscire comunque a realizzare qualcosa di positivo. Ok, si può chiamare in causa anche il dubstep (“Ladies Smile” è affine ai “furono” Vex’D) per mere questioni temporali, ma non è il caso di caricare di paragoni qualcosa che, come già espresso, ha radici sonore più in là nel tempo e un’identità precisa. Molto evocative la tragica e scheletrica litania dai contorni psych di “Egg Dog” e la spettrale incursione in campo cold wave di “Wulfstai II”, mentre è un po’ scontato il finale tra  gommose oscurità (“Kidney”, comunque dotata di fascino) e l’incursione noise di “Deserters”. Solido, ma una scintilla di coraggio in più avrebbe reso tutto più gustoso.