BASALT, O Coração Negro Da Terra

In Brasile ora il presidente è  Jair Bolsonaro. In Brasile c’è anche una band di San Paolo che suona a festival hardcore antifascisti e nei testi parla di reietti, di problemi ambientali e di come l’essere umano riesca a essere inutilmente spregevole. Sludge/doom con iniezioni di black metal: i Grief o i Noothgrush – o qualcuno non troppo lontano dai Grief o dai Noothgrush – se per gruppo preferito avessero avuto i Mayhem, con in aggiunta persino qualche melodia sofferente. I Basalt sono punkeggianti, cupi e rabbiosi: i paragoni col passato, in realtà, possono essere infiniti e chiamare in causa il crust come certo thrash (i Celtic Frost in questi casi vanno sempre bene, no?), semplicemente perché il gruppo ha in sé l’essenza di ciò che cerchiamo quando vogliamo ascoltare musica pesante. Da quelle parti, e mi piace pensare che non sia un caso (è l’ultima volta che sarò ideologico/sociologico in questa recensione) si è consci del fatto che un certo tipo di metal sia brutto da vedere, pieno di cicatrici, morda e infetti, niente di più, niente di meno. Forse per questo che Ritual Productions non si è fatta problemi a ristampare questo debutto di un paio di anni fa, con l’intenzione di pubblicarne il seguito a breve.

Qualcuno preferirà il dolore lento di “Pàrias” e di “Vanitas”, qualcun altro godrà di più con le accelerazioni mortifere di “Terra Morta” o di “A Longa Noite”, altri ancora apprezzeranno la diversità dei pezzi, che non sono mai realizzati con lo stesso cliché, anche se i generi di riferimento sono sempre gli stessi. Non è male nemmeno, a stereo spento, ricordarsi di qualcuna di quelle melodie tristissime alle quali accennavo, dato che viviamo in un’epoca in cui si registrano dischi magari potentissimi, ma troppo uniformi, così uno finisce per ricordarsi dell’impressione generale che lasciano, ma non del singolo brano che l’ha colpito. Bravi.