Arriva Jazz Is Dead! 2018: intervista ad Alessandro Gambo

Tra pochi giorni torna “Jazz Is Dead!“. Questa, per la cronaca, è la seconda edizione. Abbiamo sentito Alessandro Gambo, già dietro al Varvara Festival, a Imago e alla programmazione del Magazzino sul Po, e ci siamo fatti raccontare alcune cose su come si inserisce in città un evento simile, su come viene percepito e vissuto e sulle proposte artistiche, alla fine la cosa più importante di tutte. L’intero evento, lo ricordiamo, è gratuito.

Questa è la seconda edizione di Jazz Is Dead! Il festival rientra, a suo modo, in una sorta di cartellone “alternativo” che caratterizza Torino da qualche anno a questa parte. Come si inserisce una programmazione simile in un contesto parecchio sfaccettato come quello torinese, tra TOdays, Torino Jazz Festival, C2C e i concerti all’Auditorium Rai? Questi sono i primi nomi che mi vengono in mente.

Alessandro Gambo: L’importante è non pestare i piedi agli altri e lavorare e ricercare in territori ancora “illibati”. Credo che spazio a Torino ce ne sia ancora molto, dovremmo tutti imparare a stare al proprio posto rispettando chi è arrivato prima o addirittura cercando di creare rete per rafforzare l’identità e l’offerta pluriculturale della città. Jazz is Dead! nasce a Torino, dove appunto già si svolgono due grandi festival jazz, mancava una visione dedicata alla sperimentazione, al jazz più “borderline” ecco, e siamo arrivati noi. In tutto questo, insieme a Denis di JRF e alla Città di Torino, si è già pensato di costruire un percorso di tre mesi che parli di jazz in tutte le sue forme. E grazie per averci disegnati come “alternativi”, è una parola che amo profondamente.

Quali sono, secondo te, i punti di forza del festival? Mi sembra rimanga prioritaria la partnership col circuito ARCI.

Io provengo dall’ambiente diy, non nascondo invece che il farlo “tutti insieme” è sicuramente stato uno dei suoi punti di forza: il festival esiste perché ARCI Torino ha deciso di continuare a produrlo, il festival esiste perché i nostri sponsor hanno deciso di continuare a credere nel progetto, esiste perché la Fondazione Piemonte dal Vivo ha deciso di supportare l’evento chiedendoci addirittura di esportarlo fuori città. Gli altri punti di forza sono il concept e la gratuità. Proponiamo musica “estrema” ad un pubblico vasto: vieni, ascolta, elabora. Qualcosa dentro di te si sarà comunque mosso, magari anche in senso di disgusto, ma l’importante e (s)muovere.

Non dev’essere semplice stilare un calendario di concerti (parecchio diversi tra loro, va detto) come il vostro. Come lo pensate ogni volta e quali sono gli artisti che ad esempio vi piacerebbe avere in futuro?

In realtà è più semplice di quanto si possa pensare. L’importante è avere una linea, anche quando non c’è… Personalmente non seguo le uscite delle band, i tour, i video in anteprima. Io ascolto e compro musica, le idee di line-up si formano mano a mano, con un filo conduttore che può essere il mood, lo strumento, le sonorità o percorsi linguistici e stilistici che possano portare il pubblico a scoprire nuove visioni e ascolti. Riferendomi all’edizione di quest’anno, il venerdì è un percorso dall’analogico al digitale più estremo (dal piano di Lubomyr Melnyk ai guanti/strumenti VR degli Spime.IM), e ancora il sabato, quando semplicemente ascolteremo e balleremo i suoni “dal mondo”, fino alla domenica con i migliori duetti della scena impro/free/noise italiani che si alterneranno sul palco.

Il nome che avete scelto è volutamente provocatorio. Serve anche per coinvolgere chi pensa al jazz come a una forma di musica “paludata”, no? Non credo siano casuali pure i tuoi gusti musicali, che vanno dall’elettronica al punk se non erro. Come pensi si possa ancora sviluppare in futuro un discorso artistico di questo tipo?

Assolutamente provocatorio! Sì, bisogna scuotere. L’arte, quindi anche la musica, ha il dovere di lasciare a bocca aperta, di creare domande. So che in questi giorni alcuni musicisti “jazz” della città si sono risentiti dicendo “ma cosa affermano questi? il jazz non è morto!”. Benissimo è proprio lì che vogliamo arrivare, vogliamo raggiungere e parlare alle persone che non hanno avuto neanche la forza di girare il flyer e di leggere i nomi in cartellone o di fare una ricerca su Internet per sentire cosa stiamo proponendo. Parlare di jazz oggi vuol dire scavalcare i muri, rompere i confini, andare oltre. Bisogna essere irriverenti, aver voglia di sperimentare come lo stesso jazz ha fatto varie volte rimediando se stesso.

Come rispondono i torinesi a questo tipo di proposte?

Direi benissimo. La prima edizione ha registrato il sold-out tutte le serate facendo girare circa cinquemila persone in tre giorni. Anche le date “off” che abbiamo organizzato al Magazzino sul Po, Laraaji & Carlos Nino, ZS, Jooklo duo feat. Mette Rasmussen, sono andate praticamente in sold-out tutte le sere.
Ripeto, spazio ce n’è, la gente è pronta e noi ci divertiamo tantissimo.