ARASHI, 7/5/2017

Ravaldino In Monte (FC), Area Sismica.

Non conoscevo l’energico settantaduenne Akira Sakata, ma sapere che aveva collaborato con Jim O’Rourke e che era in programma all’Area Sismica mi portava ad annoverarlo tra gli imperdibili, e così puntualmente è stato. Il suo trio Arashi lo vede assieme al batterista monstre Paal Nilssen-Love e al basso di Johan Berthling (Fire! Orchestra) e mantiene il diluvio che promette. Si inizia subito in medias res con uno schiaffo frontale, volumi alti, un treno percussivo deragliante, il contralto che barrisce e rimbrotta secondo i dettami del free più ispido, classico e muscolare, col basso che cerca di mettere insieme i cocci, anche se i frammenti paiono schizzare dappertutto. Un oggetto – e questa musica ha una solida connotazione materica, è solida, muove le viscere – si può rompere, ma non per questo perde valore e bellezza. A questa filosofia si ispira l’antica tecnica giapponese del Kintsugi, letteralmente “riparare con l’oro”. Ciò che  si rompe, si sbreccia, va in mille pezzi, non è da buttare, ma diventa più prezioso. E poi, come diceva il colosso Roland Kirk, mica lo spezzi un “do”. Ciò che  sopravvive al danno diventa speciale, unico. Unico come il flusso vorticoso in cui precipitiamo con l’improvvisazione molto fisica del trio, dove fa (sin troppo a volte, a dire il vero…) la parte del leone Nilssen-Love alla batteria, una gioiosa macchina da guerra che addirittura in alcuni frangenti purtroppo copre il multiforme contrabbasso di Berthling, mai domo nel rispondere colpo su colpo a schiamazzi e botte che arrivano da ambo i lati.

Dopo una partenza travolgente e che fa gridare per l’ennesima volta al miracolo (ormai di concerti free ne abbiamo visti, ma ogni volta, quando funziona è, con Hikmet, il non ripetersi del ripetersi) con picchi di splendida, delicatissima violenza, la tempesta si placa, Sakata passa al clarinetto, il contrabbasso fruga tra gli armonici e mostra le meraviglie che si possono produrre con inventiva nella testa, cuore in petto e un archetto tra le mani, mentre Love placa la sua furia e indaga possibilità e impossibilità dei tamburi. Spettacolare in questo senso un frangente in cui il motore del trio grippa su un tamburello, producendo un suono che pare quasi chitarristico, e finché non resta da solo non è chiaro da dove giunga questo rombo impazzito che, sì, ha del prodigioso. Molto felici anche le parentesi in cui Sakata San si abbandona a recitati e semi cantati teatrali dal mood Zen, che regalano ulteriore profondità ad un live affilato come una lama, che ci conferma, anche se non ce n’era affatto bisogno, quanto l’Area Sismica sia un posto prezioso, da elogiare, frequentare e salvaguardare. Free your jazz and your mind will follow!

Grazie ad Ariele Monti per le foto.