Aprirsi all’imminente: intervista a Massimo De Mattia

Massimo De Mattia – foto di Elisa Caldana

Flautista ed improvvisatore di Pordenone, protagonista di una corposa discografia che non ha avuto sino ad oggi l’attenzione che avrebbe meritato, Massimo De Mattia è l’ennesimo esponente della scena del Friuli Venezia Giulia che ha richiamato il nostro orecchio. Leader di Suonomadre, autori di due ottimi dischi e recentemente tornato in azione dal punto di vista discografico con TILT, un ottimo lavoro per flauto ed orchestra da camera con la conduction di Giovanni Maier, che abbiamo intervistato qui. Abbiamo parlato con lui di questo ultimo disco, di improvvisazione, delle questioni politiche connesse a queste pratiche, della sua città e di molto altro. 

Mi racconti della genesi di TILT, il tuo nuovo lavoro? Ho trovato molto interessanti le partiture grafiche allegate a Tilt: me ne parli?

Massimo De Mattia: TILT ha avuto una gestazione complessa, ci sono voluti quattro anni.
Finalmente ad un certo momento si è offerta l’occasione di comporre squadra e gruppo mettendo insieme alcune delle principali risorse umane, artistiche, culturali produttive del territorio; il Conservatorio Tartini di Trieste, Artesuono di Stefano Amerio, Circolo Controtempo, Museo Revoltella di Trieste, Luca D’Agostino e PhocusAgency. Per quanto attiene al progetto artistico, abbiamo subito condiviso la scelta e l’azzardo di realizzare un concerto improvvisato per un ensemble allargato del tutto originale e strumento solista, il mio flauto, con direzione e conduzione di Giovanni e criteri di scrittura espressi in maniera minima, non ortodossa. La nostra strategia ambiva a valorizzare la freschezza creativa di giovani musicisti per lo più nuovi all’esperienza improvvisativa, risultata poi sorprendente, coniugandola alle caratteristiche creative estemporanee mie e di Luigi Vitale, chiamato a tessere trame armonico-ritmiche estemporanee di supporto, di mediazione e di assetto. Bisognava a questo punto mettere in opera un metodo che sposasse grafiche e gesti, inventando una grammatica, una sintassi ad hoc. È stato un lavoro lungo e di ricerca, l’allestimento ha comportato circa sei mesi di prove, durante le quali Giovanni ha lavorato per orientare sempre meglio il gruppo, creando un suono davvero originale. Le partiture “pittoriche” di Maier rappresentano degli “ambienti” in cui ci è stato richiesto di entrare, ambienti che poi sono diventati il nostro habitat. Ed è per questo, per offrire la facoltà all’ascoltatore di accedervi, che Stefano Amerio le ha volute riprodurre come allegati al confanetto, con didascalie che guidano e orientano durante l’ascolto. Voglio ringraziare Artesuono per questa scelta che valorizza TILT in modo assolutamente unico grazie ad una preziosa tiratura, limitata a 300 pezzi numerati.

Lo chiedo a quasi tutti i musicisti del Friuli Venezia-Giulia con cui dialogo, quindi tocca anche a te: da cosa dipende questo alto tasso di creatività e di spirito libero e selvatico dalle vostre parti?

Questa attitudine alla libertà e alla creatività si è caratterizzata e rafforzata con il tempo; credo di poter affermare che questa assunzione di consapevolezza e di responsabilità, alimentata da relazioni e frequentazioni su un territorio di confine, ma non limitato a quest’area, relazioni assidue e continue, intendo, e conoscenze di transito, sia il frutto di un lungo lavoro su di sé e di gruppo, di scelte forti e coraggiose, di crescita e contagio, o propagazione, di consolidamento dei rapporti e di trasmissione di saperi. Ma soprattutto di pratiche sociali, non solamente artistiche; di scelte politiche e culturali.

So che sei impegnato per la città dove vivi, Pordenone: ce la racconti un po’, dal punto di vista musicale e non solo? Non ci siamo mai stati: abbiamo solo memorie da letture del Great Complotto, sappiamo che Stefano Giust è di lì e null’altro…

Pordenone è un piccolo capoluogo, una città caratterizzata dal suo prezioso centro storico, purtroppo contornato da quartieri e periferie dove l’abuso e la speculazione edilizia hanno potuto, in pochi decenni, snaturare e deteriorare un territorio e un paesaggio prezioso e fragile. Tutto ciò oggi si riverbera sull’assetto e sull’equilibrio sociale, culturale, urbanistico della città. Brutta edilizia, miopia urbanistica e architettura disordinata portano a vivere peggio. Qui a Pordenone, nella sua piccola dimensione di paese dilatato, si ripropongono, amplificate, dinamiche e tensioni tipiche di realtà più metropolitane. La promiscuità culturale, ad esempio; su 51.000 residenti il 15% sono nuovi cittadini. Una comunità storicamente laboriosa, un paese diventato città e capoluogo in virtù di uno sviluppo industriale sorprendente che, rubo a Pasolini, non ha generato e garantito un proporzionale progresso. Una città dove per la cultura si spende molto ma si investe poco, perché prevalgono conformismo, abitudine e desiderio di leggerezza; dove si impongono politiche culturali corte, per un consumo veloce, più attente a consolidare piuttosto che a produrre, dove si sperimenta poco e con cautela. Pordenone è una città dove si sono chiusi e persi spazi museali, dove non si è saputo tutelare i beni artistici, architettonici e paesaggistici, il patrimonio; dove si consuma, si dissipa. Per fortuna sì, è vero, vi sono e ci sono sempre stati piccoli aneliti spontanei di ribellione.

Nello specifico, tu come ti sei avvicinato al mondo dell’improvvisazione?

Sono convintamente libertario. Vorrei poter tradurre la mia musica libera in pratiche sociali; cerco di farlo. Si tratta di capire che per me rigore, regola, compostezza e libertà non sono valori ossimorici. Occorre lavorare sulla consapevolezza e mantenere una compostezza e una volontà ferrea, esercitandola di continuo, fino a farla diventare spontanea e necessaria. Esporsi e aprirsi all’imminente accogliendolo sempre in modo sorvegliato. L’improvvisazione consapevole è scelta, metodo, filosofia, fede. Comporta lavoro incessante di costruzione, decostruzione e ricostruzione. Di affermazione, negazione e riaffermazione di sé, degli altri, per gli altri e verso gli altri.

L’improvvisazione non è solamente gesto o gusto performativo, l’improvvisazione è una sorta di etica che ti accompagna e traduce ogni momento della tua quotidianità. Ti consente di affrontare e risolvere nodi e conflitti. Rapporti, imprevisti, variabili, sorprese, errori. L’improvvisazione in rapporto agli altri, agli esseri e alle cose è conversazione, ascolto, relazione; dialettica, atteggiamento di spontaneità dialogica. L’improvvisazione presuppone umiltà nell’incontro; l’improvvisazione è un traduttore simultaneo universale. Con questi criteri a guidarci noi improvvisiamo sempre in modo discorsivo, logico; inevitabilmente creiamo delle forme, anche istantanee, perché siamo sempre fatalmente, inesorabilmente attratti dal nostro (nel senso di “umano”) connaturato insopprimibile baricentro tonale, armonico, ritmico… di senso. Non possiamo vivere senza una sorta di gravità. Esercitare la massima libertà significa accettare innanzitutto regole di coscienza, essere ferrei e rigorosi nel proprio lavoro di ricerca e di indagine. Non avere sbandamenti etici. Restare persone sociali massimamente concentrate su di sé. Aumentare il livello di generosità diffusa. Essere auto-esempio e modello di compostezza.

Il tuo primo ricordo musicale?

“Also sprach Zarathustra” nell’Odissea di Kubrick, 1968. Io bambino, bocca spalancata dalla meraviglia; il suono e l’immagine che entravano nello stomaco.

Cosa stai ascoltando in questo periodo e come hai vissuto questi lunghi mesi complicati? In che modo hanno influito sulla tua musica?

In realtà ho ascoltato poca musica; ho perso curiosità e piacere verso quella riprodotta. Non mi sono aggiornato. Ho letto, osservato, pensato. Ho praticato l’improvvisazione quotidianamente, con lunghe ore di studio e di esercizio; per me l’esercizio è lavoro, nel senso: deve produrre idee musicali. Non mi interessa granché perfezionare la tecnica, vorrei evolvere, evolvere sempre.

Hai qualcosa in serbo con il progetto Suonomadre? Ethnoshock e Riot sono due dischi molto ispirati. Ci parli della tensione politica che traspare dai titoli di questi dischi?

Entro quest’anno desidero realizzare il terzo album; però questa volta portando il quartetto in studio di registrazione; i primi due album, infatti, sono registrazioni live. La tensione, il contenuto politico e impegnato di Suonomadre è marcato, è musica ribelle. Dichiaratamente. Intenzionalmente. Il suono elettroacustico del gruppo rivela un imprinting prog, ma senza nostalgia: la nostra è musica contemporanea. Non intendiamo indulgere. La tensione politica è motivata da tutto quello che ho già dichiarato prima: una viva preoccupazione sociale e ambientale.

Vivi in una zona di confine, collabori anche con musicisti sloveni, penso ad esempio a Zlatko Kaučič. Ci racconti questo ambiente peculiare e ci fai i nomi di alcuni musicisti che magari non conosciamo e che meritano la nostra attenzione?

Farei senz’altro dei torti dimenticando qualcuno. Andrebbe in realtà monitorata e osservata tutta la scena musicale del territorio friulano-giuliano-sloveno-croato. C’è stata permeazione e trasmissione di saperi e di esperienze in passato, e c’è nel presente. Si sono creati presidi di libertà e di informalità che altrove magari non sono riscontrabili; luoghi ospitali e accoglienti di esercizio, di ricerca e di sperimentazione. Di condivisione artistica e sociale. Alcuni si sono poi stabilizzati, ad esempio DobiaLab o le esperienze dei Kombo di Zlatko Kaučič, il Brda Contemporary Music Festival, Topolò, e altro.

Cinque dischi fondamentali nel tuo percorso?

Scegliere implica il sacrificio.
Se devo proprio farlo, omettendo tutta la musica classica e contemporanea:

Benefit, Jethro Tull
Aladdin Sane, David Bowie
In the Court of the Crimson King, King Crimson
Out to lunch!, Eric Dolphy
Transition, John Coltrane.

Le tue impressioni sullo stato dell’arte della musica creativa in Italia oggi? Etichette, festival, pubblico, locali e festival, critica, opportunità per voi musicisti.

Per la musica creative? In Italia? Quasi zero. Opportunità per noi? Praticamente nulle, se pensiamo alla sostenibilità quotidiana di una vita che sia accettabile e decorosa. Non siamo un paese per.

Una musica al tuo orecchio, per essere interessante, come deve suonare? Chi sono i tuoi flautisti preferiti?

I miei flautisti preferiti sono… tutti: da autodidatta resto curioso e facilmente affascinabile, ad ogni differenza, rispetto a me, che incontro. La musica per essere interessante deve agire. Deve far cambiare qualcosa in me; farmi del bene, scuotermi dalle mie fragili certezze. Deve suggerire possibilità. Non deve mentire.

Ho letto che hai suonato diverse volte in gallerie d’arte: quale tipo di arte ti interessa e quali sono le tue fonti di ispirazioni oltre alla musica?

Oggi tutto è interconnesso, perciò gli artisti devono agire insieme, oltre il proprio campo d’azione. Tutto sta diventando rapido, addirittura simultaneo. Quindi nessuna gerarchia, nessuna prevalenza tra le arti. Auspico una sempre maggiore contaminazione, collaborazione, interazione dei linguaggi. L’improvvisazione è un metodo di sintesi, forse l’unico, per rendere tutto veramente contemporaneo; anzi, per esserlo, tutti noi, contemporanei. L’unica via per il futuro è modificarsi sempre, adattarsi alle varianti, non avere certezze e approdi. Sembrerà strano, ma tutto ciò ci può aiutare ad esorcizzare la nostra precarietà.