ANNA WEBBER’S SIMPLE TRIO, 24/5/2025
Ginevra, AMR-Sud des Alpes. Foto di Piercarlo Poggio.
Un finale di stagione all’altezza per l’AMR, che nel proporre il trio della canadese Anna Webber in un sabato sera ginevrino dalla temperatura mite dimostra ancora una volta di essere al passo con i tempi. La fila fuori dal locale non c’è, anche se l’artista in questione la meriterebbe. Pazienza, ormai si è capito che, a qualunque latitudine, se l’improvvisazione non viene a patti con tendenze danceable si riduce ad avere un pubblico pagante nemmeno più definibile di nicchia. Peggio, cure adeguate per fermare l’emorragia non sembrano esistere, svanita com’è l’idea di un approccio aperto all’ambito jazzistico non ortodosso. L’antica massima “non so chi sei, per questo vengo al tuo concerto” è decisamente passata di moda.
Anna Webber, a cui non mancano talento e idee, nell’autunno del 2024 aveva ritirato fuori dalla naftalina una sua vivace creatura, il trio con gli ottimi Matt Mitchell (pianoforte) e John Hollenbeck (batteria), per mettere in circolazione Simpletrio2000 (Intakt), seguito di quanto era stato abbozzato una decina d’anni addietro con Simple (2014) e Binary (2016), entrambi per la Skirl, poi ribadito più di recente dalla metà esatta di Idiom (Pi, 2021). Il tempo non è passato invano e la crescita esponenziale dei protagonisti si riflette oggi in esibizioni dal vivo di alto profilo. A differenza di formazioni consimili, la Webber punta molto sulle sue doti compositive, come si è capito dalla quantità di fogli posati sui leggii e scrupolosamente seguiti dagli interpreti. La minuziosa architettura poliritmica dei temi ha invaso così la scena – contrappuntata da qualche sporadico scostamento verso la microtonalità – e tutto vi è gravitato intorno, con la conseguenza che le espressioni solistiche dovevano di continuo gettare un occhio là da dove erano partite, arrivando peraltro a fondersi tra loro con grande eleganza. Grazie a ciò, in linea generale, il suono è apparso contraddistinto da un’energia assai maggiore di quanto ci si potesse aspettare e, anche se può sembrare un paradosso, il dover seguire per buoni tratti le scritture non ha certo impedito alla musica di librarsi di continuo in volo, di evolvere con la massima libertà.
Nella prima parte del live sono stati eseguiti quattro brani distinti, a cominciare da “SlingshØt”, che è fluito lungo un’efficace progressione dettata anche dalle vertigini procurate dal pianismo irrefrenabile di Mitchell. La Webber ha disteso i suoi tipici fraseggi taglienti in “Idiom VII”, facendo ricorso alle tecniche estese per rendere più espressivo il suono del sax tenore, mentre per “Foray” la scelta è caduta sul flauto, ma non per questo si sono avvertiti cali di tensione. Ritorno al sassofono per “Five Eateries (In New England)”, tema indie-sincopato poi corrotto in vari ed estemporanei modi dall’efficace contributo dei singoli. Dopo l’intervallo altri cinquanta minuti appassionanti, questa volta privi di interruzioni, lasciati caracollare con disinvoltura tra squarci di travolgente avant-jazz d’autore e mimetizzati occhieggiamenti cameristici. Seppure assai lavorati, nella sequenza ci è parso di scorgere brani quali “Miiire”, “8Va” e “Moveable Do”, padroneggiati con finezza da un trio che è destinato a darci soddisfazioni anche in futuro. La sapiente regia della Webber, unita alla sua maestria sui fiati, ha trovato nel pianismo imprevedibile di Mitchell e nell’istintivo drumming di Hollenbeck le sponde ideali per fare felici le orecchie curiose. Dalla Svizzera è tutto, a voi studio. (Ah, dimenticavamo: lunga vita all’Association pour l’encouragement de la Musique impRovisée).