AMINA HOCINE, Ātamōn
La pratica dell’autocostruzione di strumenti musicali peculiari è un fenomeno crescente nella galassia dell’elettroacustica più radicale, dove la ricerca timbrica regna al di sopra delle convenzioni compositive.
Il fulcro attorno al quale ruota il lavoro della compositrice e sound artist svedese Amina Hocine è il foghorn organ, uno strumento a tastiera ispirato, nella meccanica, ai corni da nebbia e alle sirene acustiche. Progettato e assemblato dalla stessa Hocine, esso è costruito con materiali decisamente fuori contesto rispetto all’utilizzo (tubi di PVC, valvole idrauliche e tubi dell’acqua) ed è alimentato da un compressore ad aria.
Ātamōn, (in alto-tedesco antico, letteralmente, “respirare”) è stato eseguito su di una versione differente del foghorn organ, corredata da otto canne di PVC disposte all’interno dell’ambiente (una camera all’interno di una miniera dismessa nella Svezia rurale) secondo un personale criterio mutuato dalla psicoterapia junghiana.
Nelle intenzioni dell’artista le otto canne sono altrettanti attori di una muta performance teatrale; il suono sostituisce le parole e le idiosincrasie timbriche restituiscono la complessità delle relazioni umane. Altrettanto articolata è la metodologia utilizzata per microfonare, che sfrutta le proprietà acustiche della cava per creare risonanze affascinanti.
Il risultato è una lunga ed impegnativa suite suddivisa in due corposi movimenti, ascrivibile al mondo della drone music pur se con singolari soluzioni formali (alcune bizzarre poliritmie del primo movimento). Il secondo movimento ha un andamento maggiormente lineare e nella sua densa e vibrante spinta cosmica si concretizza l’immagine – suggestiva al massimo grado – di un enigmatico organo steampunk che si contrae come un polmone gonfio d’aria tra le pareti di roccia di un’antica cava.