AMBASSADOR, Care Vale

Gli Ambassador sono una band di Baton Rouge, Louisiana, che nel 2018 ha pubblicato il suo primo album, Belly Of The Whale, accolto con entusiasmo dalla critica. La loro gamma di influenze è tale che sfuggono a qualsiasi categorizzazione. Tuttavia, con una certa approssimazione, indispensabile quando si vuole incasellare a tutti i costi un artista negli angusti spazi di un genere o di una corrente, li si potrebbe classificare come post-punk, alternative metal o heavy rock. Ma ognuna di queste etichette non renderebbe giustizia ad una band che ha saputo amalgamare forme musicali diverse, declinandole secondo un linguaggio originale e sganciato dalla più o meno pedissequa imitazione di modelli altrui. Se proprio volessimo fare un paragone, allora dovremmo chiamare in causa i Russian Circles e i Thrice, dai quali gli Ambassador prendono spunto nella costruzione delle trame strumentali, ma sempre nei termini affrontati in precedenza. Il perno della loro musica è rappresentato da un dualismo di estasi paradisiaca e violenti sconquassi chitarristici. Possenti riff sludge metal si stemperano in atmosfere eteree e sognanti e, viceversa, arpeggi cristallini di chitarra diventano l’impalcatura su cui innestare degli epici crescendo. È un gioco di opposti che si attraggono; nubi e schiarite, calma e tempesta, luce e ombra, con la sezione ritmica a fare da trait d’union. A parer mio questo nuovo album, registrato all’High Tower Recording Studio di New Orleans, segna un passo avanti decisivo rispetto al precedente, seppur ottimo, esordio e mostra una band più matura sia sotto il profilo della scrittura, sia della coesione strumentale.