AMANDA MUR, Neu Om

Scontato affermare che, pur con i margini di crescita possibili, il debutto di Amanda Mur ci avvince nella sua cupa ragnatela, ma questo è quanto. La pianista, vocalist, songwriter e produttrice spagnola, classe 1996, originaria delle foreste della Cantabria, è al primo album sull’etichetta catalana La Castanya e fa tutto in autonomia, con il supporto di Adrián Foulkes e del musicista grime Joke, in prevalenza in fase di mix e master, oltre al coinvolgimento di ulteriori strumentisti qui e là, a viola da gamba e violoncello.

Neu Om è per di più ben congegnato: è lungo nove brani per meno di mezz’ora di durata, suddivisi tra sette vere e proprie canzoni e un paio di mesmerici interludi, affinché non vi siano cadute di tono. Ancestrale, così come conturbante con un occhio al futuro, tra classico bagaglio accademico, avant-folk ed elettronica. La gestazione del lavoro è stata lunga, avviata durante il periodo pandemico: ne è testimonianza “Pandemic”, tessitura di electrocumbia e ritmi tribali, specchio di tempi aridi, al pari di quelli evocati in “Canto A Los Migrantes”, in navigazione su reminiscenze di canto gregoriano e minimal techno. Tale oscillazione tra ieri e oggi, forse addirittura domani, si ripresenta in “Vapah”, ardita preghiera su una gravidanza indesiderata che osa fondere la memoria acustica del fado e sperimentazioni acuminate, oppure in “Péndulo Que Baila”, che si cimenta nel giustapporre retaggi medievali e dark ambient. Ci sono altri episodi che colpiscono subito, lasciando immaginare una specie di Lucrecia Dalt in abiti gotici da rituale, magari con la benedizione del Nicolas Jaar più funereo: “Maithuna”, tra neo-misticismo dalle radici tradizionali e serpentine sintetiche, letture tantriche e lo spettro di Hildegard von Bingen; “Mutante”, manifesto programmatico di trasformazione, ballad che sfocia in un ritornello da intonare a memoria sull’orlo del precipizio o della follia.