ALEC K. REDFEARN and THE EYESORES, The Opposite

ALEC K. REDFEARN and THE EYESORES, The Opposite

Tra quanto pubblicato dalla gloriosa Cuneiform Records nella seconda parte del 2018 c’è The Opposite del poliedrico Alec K. Redfearn coi suoi Eyesores, un disco per tanti versi oscuro, torbido, con tratti non troppo velati di esoterismo contemporaneo. Redfearn lavora in continuità con la sua storia di musicista e compositore, tentando una comunione costante tra una vena carsica di sperimentazione elettronica e la ricerca di ambientazioni di natura folk. Il risultato è un impasto in apparenza sconnesso, anarcoide, fuori controllo, ma che si stratifica e prende forma ascolto dopo ascolto, diventando un’opera organica, compiuta. L’intero The Opposite si dipana sul piano del disordine psichedelico, evidenziando una spiccata vocazione al minimalismo nichilista e ossessivo del krautrock di fine anni Settanta: si possono citare agevolmente esperienze come quelle dei Faust e dei Can, ma anche quella dei Suicide.

Alec K. Redfearn e gli Eyesores arrivano a questa produzione dopo il sensazionale e per tanti versi rivoluzionario Sister Death del 2012. Quest’ultimo album si mostra più complesso e articolato, più ruvido e inquieto da punto di vista degli arrangiamenti. I testi, sempre in bilico tra il trascendente e i piaceri terreni, sono costruiti sull’apologia degli opposti. Tutto ruota attorno all’idea mistica ed esoterica della Cabala, dove ogni elemento contiene e convive col suo “negativo” in un equilibrio arcaico, ancestrale. Un concetto antico e ampiamente sviscerato, declinato da Redfearn in modo schizofrenico in una serie di otto brani che divengono un’esaltazione di questa “poetica del contrario”, espressa in modo sognante ed ermetico, creando suggestioni eteree e inafferrabili dal gusto vagamente dark.

L’ouverture “Soft Motors” introduce l’atmosfera dell’intero disco, imponendo una fisarmonica effettata e acida che un missaggio audace posiziona in primissimo piano. Le melodie serrate mutano in ostinati nervosi, sfociando in momenti di pura psichedelia delle origini. Chiarissimo il ricordo del Barrett più allucinato (Redfearn non nasconde la sua passione per l’indimenticato Syd di Opel e Barrett), soprattutto in alcune inflessioni del cantato e in certe linee melodiche arabesque. Si prosegue con “Tramadoliday”, brano che si presenta con una sezione ritmica in dodici ottavi, palesando una certa attenzione al folk indoeuropeo, a certe variazioni sul tema molto in voga nella seconda metà degli anni Novanta, quando in tanti negli ambienti indiefolk si giocava alla “contaminazione”, inserendo nella tessitura ritmica di matrice “popolare” ostinati e contrappunti di estrazione postpunk. Ancora una ritmica contratta annuncia l’episodio che dà il titolo al disco, una sorta di nenia compulsiva e ipnotica, durante la quale una voce impalpabile, astratta si stende su pattern ritmici e melodici brevi e ripetuti.

Tutto il disco ha un che di rituale, Readfearn gioca con i codici sonori e gestuali, alternando momenti estranianti e vorticosi ad allegorie pop, donando al lavoro un’indiscussa vena poetica dai tratti noir ma comunque sempre intensa. Oltre alla fisa, Alec K. Redfearn, voce solista, suona un bellissimo Moog MG-1, un organo, loop vari e campane e oggetti rituali. Interessanti le trame armoniche del corno di Ann Schattle. Completano la line-up Christopher Salders al contrabbasso e Matt McLaren a batteria e percussioni.

Un disco dalle tinte forti e a tratti spigoloso, che necessita di un ascolto attento e libero per essere apprezzato a pieno. La proposta di Readfearn e della Cuneiform è sempre molto intrigante, ma in questo si deve oltrepassare un primo filtro, un velo d’ombra che avvolge l’insieme, prima di entrare nelle profondità più remote ed evanescenti della poetica di Readfearn e gustare per bene i suoi voli pindarici, le ascese vorticose e le cadute verticali. The Opposite è giocato tutto sull’instabilità, sulla voglia e l’azzardo di minare alle fondamenta ogni tipo di equilibrio possibile tra folk ed elettronica, tra il ricordo di un suono asciutto e leggendario di origine “Seventies” e un innegabile bisogno di riordinare un presente troppo caotico.