ABORTED, Maniacult

Ne hanno fatta di strada gli Aborted. Li avevo incrociati l Rainbow nel 2007, mentre erano di supporto a Kataklysm e Behemoth, ma della loro esibizione ricordo ben poco.
Il Rainbow, live club milanese oggi trasformato in un comodo parcheggio, era ciò che Brad Pitt avrebbe definito uno scantinato del cazzo pieno di metallari sudaticci (e non di nazisti puzzolenti in quanto nazisti). Assistere a un concerto in uno scantinato presenta diverse difficoltà, a cominciare dal fatto che o stai nelle prime file e rischi la vita nel pogo o rimani dietro e non vedi niente. Io, da bravo novellino interessato solo ai Behemoth, ero rimasto prudentemente nelle retrovie, anche perché consideravo i gruppi spalla una rottura di cazzo messa lì apposta per farmi andare a letto tardi (un pregiudizio che i Kataklysm fecero di tutto per rafforzare).

All’epoca non avevo capito l’entusiasmo del pubblico per quel gruppo belga che stava facendo casino poco dopo l’ora di cena. Non che nel frattempo io sia diventato un fan sfegatato di deathgrind, brutal e simili: ho ascoltato quasi tutte le sfumature del death metal, ma ben pochi gruppi (Ulcerate, Gojira, Carcass… e ovviamente i Death) sono stati in grado di spingere la mia curiosità oltre l’album più rappresentativo.

Per quanto riguarda gli Aborted, lo stesso Goremageddon non mi aveva entusiasmato. Malgrado il deciso passo in avanti rispetto alle primitive radici grind, il lavoro mi era sembrato l’ennesimo tributo rivolto agli appassionati di ritmiche forsennate e tematiche splatter. Il processo di maturazione era però avviato, e se nel 2016 Retrogore apriva una prima breccia nel mio cuore, con questo Maniacult Sven de Caluwé e soci hanno confermato il loro posto nella ristretta cerchia di gruppi da tenere sempre d’occhio.

Stiamo parlando dell’undicesimo capitolo della band di Beveren, traguardo non da poco in un ambiente che guarda con sospetto ai tentativi di innovazione e sembra crogiolarsi nel ristagno creativo. Gli Aborted, con pochi accorgimenti di rotta e tanto mestiere, riescono ancora una volta a fare la loro brutta (in senso buono) figura: ManiaCult si rivela un disco solido, dal songwriting esplosivo e ricco di spunti interessanti.

A dare una marcia in più rispetto ai lavori passati è la giusta combinazione di brani orecchiabili (almeno per gli standard del genere), come i singoli “Dementophobia” e “Impetus Odi”, e arrangiamenti più ambiziosi da cui emergono insolite derive atmosferiche. Il trittico finale composto da “Drag Me to Hell”, “Grotesque” e “I Prediletti: The Folly of the Gods” non può davvero lasciare indifferenti: maestose armonie prendono il sopravvento sugli sfrenati riff death metal, mentre l’immaginario gore lascia qua e là spazio a scenari post apocalittici impregnati di critica sociale.
Nessuna pecca quindi? ManiaCult promosso con lode? Assolutamente no, anche se più che di difetto parlerei di rammarico. Gli Aborted sono musicisti di prim’ordine (da ricordare la presenza dell’italiano Stefano Franceschini al basso dal 2016) e con una lunga gavetta alle spalle. Hanno prodotto l’ennesimo album capace di divertire il pubblico, e tuttavia il giudizio non può andare oltre il solito “nulla di nuovo, ma eseguito molto bene”. Sarebbe lecito aspettarsi un pizzico di coraggio in più, anche se oggi più che mai per campare con la musica del demonio è necessario venire a patti con le dinamiche del mercato discografico.

C’è chi rimpiange il loro deathgrind senza compromessi degli esordi, e, chissà, magari anche gli stessi Aborted hanno nostalgia di quei tempi. Magari ricordano con affetto anche quella data a Milano nello scantinato del cazzo.

Tracklist

01. Verderf
02. ManiaCult
03. Impetus Odi
04. Portal to Vacuity
05. Dementophobia
06. A Vulgar Quagmire
07. Verbolgen
08. Ceremonial Ineptitude
09. Drag Me To Hell
10. Grotesque
11. I Prediletti: The Folly Of The Gods