AA.VV., BolognaSound Vol. 1 [+ full album stream]

Per questa compilation dell’appena nata Slowth Records si è mosso Francesco Giomi, “compositore e regista del suono, collaboratore tra gli altri di Luciano Berio, direttore dello storico centro di ricerca, produzione e didattica musicale Tempo Reale a Firenze e professore di Composizione Musicale Elettroacustica al Conservatorio di Musica di Bologna”, per citare il comunicato stampa (noi lo abbiamo già incontrato, comunque): sua la definizione “Bologna Sound”, cioè un precipitato di avanguardie elettroniche “storiche”, techno e noise, reso possibile dal lavoro del Conservatorio dove insegna (la convinzione è già mezzo successo) e dalla vitalità dell’underground cittadino (sul quale non mi sembra il caso di diffondermi ancora, dato che ne abbiamo parlato moltissimo, sempre in termini positivi) che Giomi indubbiamente conosce, avendolo frequentato.

Non posso sapere se questa compilation rappresenti davvero la “nuova scena elettronica sperimentale della città di Bologna”, perché per me scena vuol dire gente che si conosce, si parla, va negli stessi posti e suona insieme, ma credo che getti luce su musicisti locali molto interessanti e che dunque raggiunga il suo obbiettivo. Sono cinque pezzi, dunque ci sta prenderli in esame tutti singolarmente e poi vedere se si possono incastrare insieme in qualche modo.

Davide Baldazzi e Andrej Cebski sono i Njordzitrone: “BIID Elisea” starebbe benissimo sul catalogo della Subtext, primo per l’attualità del sound, secondo per come squarcia le casse per venirti a prendere.

Federico Pipia, ventiquattrenne, si è trasferito a Bologna per studiare Musica Elettronica e Sound Design: “Crac” mi ha ricordato Zbigniew Karkowski per il gioco tra pieni (rumorosi) e improvvisi vuoti. Trattandosi di brano pensato per 4 altoparlanti, non mi sembra così peregrino credere che – come Sua Maestà Zbigniew I -stia cercando di imbrogliare la mia percezione, facendomi perdere l’equilibrio (l’arte dovrebbe essere sempre un po’ destabilizzante).

Daniele Carcassi è dj, ma si è laureato con una tesi sull’Acusmonium, a confermare la natura bastarda di questo Bologna Sound, in parte accademico, in parte underground (un po’ come piace a Kassel Jaeger): mi verrebbe da scrivere che anche qui ci si basa sullo schema tensione/rilascio, ma sono molti gli strumenti e i suoni chiamati in causa, dunque ho l’impressione che ci sia anche qualcos’altro sotto. Da (ri)osservare con gran calma, finché non troveremo la chiave di questa parata selvaggia.

Anche Marco Menditto sfrutta i sistemi multicanale per creare uno spazio e un mondo di avvenimenti intorno a noi: tramite “Core” sguinzaglia creature aliene tipo quella di “Annihilation” di Alex Garland, che circondano chi è in ascolto. In apparenza disinteressate a quell’essere umano li in mezzo a loro, in più momenti lo assalgono, non so se per fargli del bene o del male, o più semplicemente per cambiarlo. Tutto molto, molto suggestivo.

Simone Faraci, pure lui passato per il Conservatorio di Bologna, ha creato “Un Giardino Improvviso” su commissione di Tempo Reale. Qui c’è un elemento testuale che inevitabilmente finisce per catturare tutta la nostra attenzione: l’attrice utilizza poche parole, ricombinate di continuo finché ciò che all’inizio sembra avere un significato, lo perde, lasciandoci cadere dal razionale all’irrazionale. Un po’ come fanno questi musicisti, che reinventano la realtà reinventando i suoni.

Nonostante si faccia un po’ di fatica a entrarci, nonostante sia dura avere tutti gli strumenti per averci a che fare, questa compilation trasuda talento e potenzialità. Rimarranno inespresse? Ai posteri etc etc.