ULVER, The Assassination Of Julius Caesar

Gli Ulver, come si sa (*), hanno sempre fatto quello che hanno voluto. Fino a un certo punto è possibile anche dare una spiegazione valida dei loro cambiamenti (wolves evolve), poi diventa più complicato, ma è perché siamo troppo vicini nel tempo. L’idea è che ormai lavorino a progetto, oltre a essere il classico gruppo a formazione aperta, di quelli in cui a volte non sai nemmeno chi faccia cosa, e non è un caso che ciò accada su di un’etichetta come House Of Mythology, che in catalogo ha Tibet, gente dei Coil, gente dei Guapo, gente dei Cyclobe…

Per il 2017 hanno deciso di riprendere qualcosina di Perdition City, qualcosina di Shadows Of The Sun e registrare un disco pop scientemente sopra le righe dal punto di vista musicale, ma per certi complessissimi versi anche da quello testuale: si parla di episodi storici ben precisi, anche contemporanei (quando mai lo avevano fatto?), di quegli avvenimenti che i mass media – grazie Ballard per la dritta – trasformano in cicatrici del nostro cervello e in traumi collettivi, ad esempio la morte di Lady Diana, che nel gioco postmoderno degli Ulver sull’Eterno Ritorno della Tragedia diventa un po’ l’ultima incarnazione della dea romana della Luna (e dei boschi, etc), una sovrapposizione divertita che alla fine non dovrebbe sorprendere, perché è abbastanza pacifico che attorno a questa donna fosse stato creato un culto ai limiti della psicopatologia.

Che gli Ulver avessero tutte le carte in regola per fare un disco pop era ovvio, semplicemente perché Garm ha una voce splendida a detta di chiunque e l’ha già messa alla prova con successo in contesti meno difficili di quelli nei quali ha scelto di muoversi. Qui, qualche volta – scrivo per la seconda volta questo verbo – gioca persino a fare George Michael, così come il resto del gruppo decide di provare a vedere cosa succede a essere più ottantiani degli Ottanta, tra mille strizzate d’occhio a Depeche Mode, Soft Cell, Talk Talk, Frankie Goes To Hollywood, a certa disco e dunque persino a certa black music, non senza qualche discesa in acque più profonde e non senza – come accennavo – qualche episodio più riflessivo.

È la cosa più bella mai fatta dagli Ulver? Se la gioca con Blood Inside o Perdition City? No.
È peggio di Wars Of The Roses? No, impossibile.
Alla fine è un buon disco.

(*) È il 2017, vivi e lascia vivere. Sì, dico a te. Esatto, a te, con la maglia dei Marduk… Che hai detto su mia madre? Vieni qua. Vieni qua!