ULCERATE, Vermis

Ulcerate

La Relapse fa il botto con il nuovo album dei neozelandesi Ulcerate: Vermis è un’opera contenuta nei tempi (anche stavolta meno di un’ora), mastodontica nella sostanza.

Il technical death metal non è certo facile da digerire, e forse più che altri generi del metal, richiede all’ascoltatore di “essere in vena” per entrare in sintonia con i musicisti e godere, insieme a loro, di costruzioni spesso intricate, che possono talora sembrare un po’ fini a se stesse. Ci sono alcuni gruppi, però, tra i quali gli Ulcerate, che sono capaci di fare Magia Nera con tecnica e velocità opportunamente combinate ad atmosfere dark. In questo senso, quanto e forse anche più degli album che l’hanno preceduto, Vermis è esemplare.

Vermis, insomma, è sinistro prima che tecnico, perciò è naturale che l’apertura, con la traccia breve “Odium”, sia affidata a suoni doom/post-metal, alienanti nel loro incedere disarmonico e riverberato, e all’eco lontana del ruggito del cantante-bassista Paul Kelland. Poi, con la title-track, si entra nella parte tecnica, quella in cui la batteria di Jamie Saint Merat è il fulcro, lanciata com’è a una velocità assurda e ossessiva, un mitragliatore che sputa fuoco seguendo pattern complicati, che s’intrecciano con quelli di chitarra più basso (Michael Hoggard e Paul Kelland) in una specie di contrappunto.

Quando prevale la velocità, le note stridenti dei riff, riprodotte ad altezze variabili, si rincorrono nervose dando vita a un ritmo spezzato, che però ha poco dello stile sincopato, gelido e al limite del jazz dei Meshuggah, mentre richiama inevitabilmente i fraseggi dei Gorguts. Tuttavia il carattere “sporco” e granuloso del suono degli Ulcerate mi ricorda in modo ancora più efficace le sfuriate apocalittiche dei Deathspell Omega e dei Portal. La tecnica, negli Ulcerate, sembra quasi impiegata per rappresentare o evocare l’irrazionalità apparente oppure l’incontrollabilità delle forze della natura. A rendere ancora più inquietanti le sensazioni suscitate dalla frenesia virtuosistica e, pure, per spezzare in modo efficace la conseguente monotonia, la band ripropone quanto già sperimentato in precedenza, inserendo all’improvviso (o anche con gradualità) pause e rallentamenti (sempre in “Vermis”, ad esempio). Quando si entra in questi intervalli anossici gli Ulcerate lasciano vibrare le corde, mentre la batteria mantiene il tempo con rintocchi funerei, anche se occasionali rulli impazziti sulle pelli rivelano la presenza di una forza che sta per esplodere. In alcuni casi (“Clutching Revulsion”, per dirne uno) le pause atmosferiche sono più rarefatte, a base di una specie di psichedelia glaciale che si coglieva anche nel precedente album (The Destroyers Of All), e confluiscono passo dopo passo nella furia dissonante che chiude i brani. In tracce come “Clutching Revulsion” e “The Impetuous Weak” (titolo fenomenale) si percepisce il forte disallineamento tra la melodia spesso cadenzata – e di stampo avant-garde/post-metal – seguita dalle chitarre e la condizione innaturale di parossismo praticamente steady-state della batteria, tirata a un ritmo inumano. Invece, in “Weight Of Emptiness”, bellissimo, sono ritmi e sonorità funeral doom/post-metal a essere protagonisti, con le chitarre che rombano alla stregua delle trombe dell’apocalisse, mentre gli inserti tecnici sono vomitati come magma ribollente, almeno fino a quando il fragore non lascia il posto a qualche minuto di nera intimità. In tale contesto anche il canto di Paul Kelland diventa un growl ritualistico e, per effetto dell’interferenza con il riverbero delle chitarre, quasi ultraterreno. E mi sembra che in quest’album più che mai prima, Paul canti ispirato da una ferocia “occulta”.

Le melodie portanti – e il canto che le segue – possono diventare quasi epiche, come in “Confronting Entropy” o nel brano di chiusura “Await Rescission”. Lì la band non adotta lo schema, usato in altri brani, dell’inserimento degli stacchi “ambient”, ma calibra la velocità delle parti tecniche per valorizzare la narrazione. Poi “Confronting Entropy” passa, senza soluzione di continuità, alle atmosfere della breve traccia strumentale “Fall To Opprobrium”. Perché bisogna poter tirare il respiro…

Ascoltando d’un fiato, al buio, questo Vermis, abbandonandosi all’esperienza Ulcerate, ancora una volta si viene sopraffatti dai diversi “stati” evocati da questa musica disturbante, che si alternano come ondate di una marea densa e urticante. Prima ho citato i Deathspell Omega e i Portal come riferimenti immediati per gli Ulcerate, ma sia per i ritmi bellici sia – e specialmente – per la capacità di evocare l’Oscurità, la band non ha bisogno di andare chissà dove per trarre ispirazione. Il gruppo è parte attiva di una scena, quella neozelandese, che ha prodotto e produce metallo sublime con band da guerra totale come Diocletian e progetti straordinariamente cupi, e di non facile classificazione, come Vassafor e Sinistrous Diabolus.

E in Vermis, album maestoso, la notte regna sovrana.