TELETEXTILE, Glass

Glass

Grazia e determinazione.

La creatura di Pamela Martinez e dei suoi sodali è trasparente e delicata, proprio come il materiale evocato nell’intestazione del disco. Newyorkese di Brooklyn, Pamela ha iniziato a suonare sin da ragazzina, coltivando la passione per artisti come George Harrison, Pj Harvey, Brian Eno e Radiohead. In buona sostanza il disco è la sua idea di pop, il suo spazio dove raccontare le sue cose. Una credenza immaginaria dove posizionare con cura i preziosi cristalli del passato (quella voce che sembra così fragile). Per darvi un’idea più precisa: ve la ricordate Susanna Wallumrød, la bionda chanteuse norvegese che qualche anno fa collaborò con Will Oldham? “What If I” sembra quasi scritta da lei. Certo Pamela tende a essere meno dark nelle ambientazioni (c’è sempre una vena fanciullesca e mai troppo pesante nell’insieme), ma le coordinate sono più o meno quelle. Elettronica poco invasiva, parti di chitarra centellinate come farebbe un orafo, e notevole lavoro sulla sua voce (la ballata androgina di “Gesso”, che poi assume una repentina posa glamour). Tutto Glass è una prova sufficiente di scrittura pop, diremmo abbastanza meditata e senza troppe pretese; ecco, se proprio vogliamo trovare un difetto è quello di non osare abbastanza, ma si sa, a volte la paura di far danni è troppa e può provocare pasticci.La Martinez evita questo pericolo e se la cava benino, il che è già sintomo di saggezza. Può ancora migliorare.