SUBROSA, Rebecca Vernon

Ammettiamo senza falsi pudori la nostra ammirazione per questa band. Abbiamo potuto seguire da vicino crescita ed evoluzione di questi musicisti, senza mai perdere occasione per confrontarci con loro e andare a fondo in quello che è un progetto che non si limita al solo lato sonoro, ma ha sempre saputo offrire all’ascoltatore un affascinante mix di immagini, testi e note. Lo stesso è avvenuto per il nuovo For This We Fought The Battle Of Ages, di cui la cantante/chitarrista Rebecca Vernon ci svela alcuni aspetti decisamente interessanti.

More Constant Than The Gods è stato pubblicato nel 2013, cosa è successo tra i due album? Quali sono stati i momenti più significativi per la band?

Rebecca Vernon (voce, chitarra): Tra i due dischi abbiamo cominciato a suonare più show fuori dello Stato e a fare più tour. Abbiamo girato la costa Ovest e il Nord-Ovest con i Cult Of Luna, tre settimane all’Est con i Boris, abbiamo aperto per i Deafheaven a Denver e per i Neurosis, sempre a Denver, ma otto mesi più tardi. Abbiamo anche suonato in vari festival come Hellfest, Roadburn, Hopscotch, Southwest Terror Fest, Housecore Horror Fest, Psycho California e molti altri.

Per quanto mi riguarda, il momento più significativo è stato il nostro concerto al Roadburn ad Aprile del 2015 all’ Het Patronaat. C’erano molti amici nel pubblico e di certo è stata una serata speciale con un’atmosfera unica.

Vi va di presentarci Levi Hanna, l’ultimo ad unirsi alla band? Come vi siete incontrati?

Levi Hanna ha suonato in alcuni gruppi di Salt Lake per molti anni, in particolare ha guidato gli Huldra e composto gran parte del materiale di quella band. È un tecnico e un gran risolutore di problemi quando si tratta di amplificatori, pedali e strumenti. Tra lui e Andy, siamo in grado di affrontare in tempi brevissimi la maggior parte degli ostacoli tecnici sul palco. Lo dico con soddisfazione, perché i miei talenti risiedono da tutt’altra parte.

Il precedente bassista Christian ci ha raccomandato Levi. Sapevo che era il chitarrista degli Huldra, ma non sapevo suonasse anche il basso. Christian, invece, lo aveva già visto suonare il basso con un altro progetto e me ne ha parlato, così tutto è andato al posto giusto.

Come al solito, Glyn Smith ha creato un artwork incredibile per i SubRosa. Credo che il suo stile si adatti perfettamente alla vostra musica e al vostro immaginario. Penso condividiate la mia opinione, cosa amate in particolare del suo modo di esprimersi e che cosa lo rende perfetto per accompagnare la vostra musica?

Glyn è un artista molto ispirato prende ogni singolo progetto cui si dedica in modo estremamente serio e passa ore a studiare prima di appoggiare la penna sul foglio. Vuole sempre sperimentare nuove strade e sfidare le convenzioni, come ha fatto con le nostre ultime grafiche. Amo i suoi disegni così eleganti e minimali. Con For This We Fought The Battle Of Ages è tornato al 1920 per l’ispirazione, così da riflettere l’epoca in cui è stato scritto “We” (libro di Yevgeny Zamyatin  da cui trae spunto il concept dell’album). Si è ispirato ad art deco, ex libris e all’estetica delle attrici dei film muti per creare le grafiche. Mi ha detto che tra tutti i suoi lavori considera questo quello che è più aderente al disco per cui è stato creato.

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Un’altra partnership di lunga data è quella con la Profound Lore, una label che ha sempre appoggiato la vostra visione artistica sin da No Help For The Mighty Ones nel 2011. Un rapporto che sembra basarsi su una reale affinità e su obbiettivi comuni rispetto ai normali contratti etichetta/musicista. Un po’ come se la vostra idea combaciasse con il percorso intrapreso da Chris (Bruni, boss della label) e con la sua voglia di sperimentare nuove possibilità.  

Grazie mille, quella con La Profound Lore è davvero una gran partnership, Chris è una persona ragionevole e ci dà piena libertà per fare ciò che vogliamo. Non ha mai imposto veti sulla musica o sulle grafiche che gli abbiamo presentato. Lascia che le sue band realizzino la loro arte e che loro si fidino di lui per il lato imprenditoriale. È una persona in grado di influenzare il gusto della scena metal underground e lo considero una persona che costruisce il suo percorso con coraggio. È un vero complimento essere paragonate a lui.

Se, da una parte, su For This We Fought The Battle Of Ages si può subito riconoscere il vostro tocco, l’album è anche il risultato di una ulteriore evoluzione nel vostro percorso. Ci sono alcuni elementi nuovi e differenti dinamiche interne. Come vi siete avvicinati alla composizione e cosa vi ha ispirato?

Questa volta volevamo davvero sfidare noi stesse e spingerci in nuove direzioni musicali. Non ci piace ripeterci o restare nella zona sicura della fase creativa. Per comporre questo disco sono stata ispirata dal concetto di sinfonia e dall’opera, l’immagine di movimenti che si intrecciano tra loro, con ogni singola sezione a rappresentare emozioni differenti o addirittura scene diverse. “Despair Is A Siren” lo fa in modo più scoperto, segue la trama del racconto “We” secondo l’ordine cronologico.

È stata la prima volta in cui siamo partite già con l’idea base (“We”, appunto) prima di iniziare a scrivere i brani, quindi ha rappresentato un nuovo approccio creativo: scrivere all’interno di uno scheletro o di una linea guida. È stata una sfida divertente, ma non posso dirti se la ripeteremo.

Credete che il riferimento al doom funzioni ancora per descrivere la vostra musica? Come vi raccontereste a chi si è fermato al debutto Strega?

Ho sempre pensato fossimo più “sludgy” che doom, ma mi va bene descriverci anche così. Credo casomai che siamo più vicine al pop o al folk. Ci ho scherzato sopra qualche volta, dicendo che facciamo “doom-pop”, ma non sono poi così lontana dalla verità. Abbiamo dei lati accessibili che ispessiamo e rendiamo pesanti il più possibile, ma se togli il volume e la pesantezza, nel loro nucleo i riff hanno un che di abbordabile.

Quanto credi che i vostri luoghi e la tradizione del folklore locale abbiano influenzato il vostro gusto e il vostro songwriting? Credi che le vostre radici abbiano un ruolo nel vostro immaginario musicale? Sebbene veniate dallo Utah, sbaglio nell’individuare un’influenza degli Appalachi nella vostra musica?

C’è di sicuro l’influenza del folk degli Appalachi nella nostra musica, probabilmente anche del Southern Gothic. “Whippoorwill” ha in sé questi aromi e anche “Cosey Mo.” Sui nostri primi album questo era ancora più evidente. Non so dirti da dove provenga, perché credevo di odiare la musica folk, eppure sembra vivere da qualche parte dentro di me, perché spunta fuori quando compongo alcuni brani.

In realtà, io non sono originaria dello Utah, per cui non so dirti se le tradizioni folk del luogo abbiano un’influenza su di me, di certo ce l’ha la scena locale. La prima influenza per i SubRosa è una band di Provo chiamata Red Bennies e l’ispirazione più grande sono i nostri amici nelle band locali.

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Nei testi ci sono alcune strofe in italiano, credo che i lettori siano curiosi e vogliano avere qualche spiegazione su questa particolarità e sul perché le abbiate aggiunte. Qualcuno nella band parla italiano?

Sì, Sarah parla italiano, ha frequentato dei corsi e ha vissuto qualche mese in una piccolo fattoria nelle campagne italiane. “Il Cappio” è un’introduzione a “Killing Rapture” e volevamo cantarla, così come l’intermezzo di “Killing Rapture”, in una lingua straniera. Visto che Sarah già parlava italiano abbiamo pensato potesse farlo con una certa cognizione di causa. Un dettaglio interessante è che ho scritto quei versi in inglese e Sarah ha parlato coi membri degli Ufomammut per farsi aiutare con la traduzione.

Cosa mi dite dei testi, si tratta di un vero concept o di un’ispirazione più generale che lega i vari brani a livello di sensazioni? 

Tutti i testi sono in qualche modo legati ai temi esplorati da “We”, se sia meglio venir controllati ma non sperimentare il dolore, oppure sperimentare la gioia del libero arbitrio con la sofferenza che comporta. Alcuni dei brani sono scritti dal punto di vista dei governanti del regime distopico descritto su “We”, legislatori “benevolenti” che ci tengono nell’ignoranza per risparmiarci sofferenze, come in “Wound Of The Warden” e “Killing Rapture.” Altri si basano su diversi personaggi del libro, come D-503 e I-330, in “Despair Is A Siren.” “Black Majesty” e “Troubled Cells” sono invece raccontate dal mio punto di vista, sui miei sentimenti nel dibattito tra libertà contro controllo, o anche individuo contro collettività.

Di recente siete state in Europa con i Sinistro, se non sbaglio non è stata la vostra prima esperienza nel Vecchi Continente, giusto?

I nostri show a Milano e Bologna sono stati grandiosi e condividere il tour con i Sinistro è stata una vera gioia. Meritano davvero l’interesse che stanno raccogliendo, sono molto bravi dal vivo, al contempo esplosivi ed eleganti. Il mio unico rimpianto è che a Milano c’erano un paio di amici nel pubblico e a fine concerto sono dovuta correre al tavolo del merchandising, ho fatto loro cenno che li avrei raggiunti più tardi ma probabilmente non hanno capito e non ci siamo più incontrati. Ci sto ancora male.

Questo era il nostro quarto tour europeo. Ne abbiamo fatti di brevi nel 2008, 2014 e 2015. Per questo ultimo, mi sento di aver finalmente girato l’Europa in modo serio, a parte Spagna e Portogallo e l’Est. Un giorno vorremmo suonare in questi posti e anche al Sud Italia e in Grecia.

Siamo davvero contente di poter tornare in Europa per il Roadburn e, speriamo, qualche altro festival estivo.