SONIC JESUS, Grace

Fino a ieri i Sonic Jesus giravano essenzialmente attorno al binomio Veronese-Baldassari, autore uno delle musiche l’altro dei testi. Defilatosi l’organista-paroliere, la denominazione del progetto è rimasta appannaggio del solo frontman: dalla batteria, suo strumento d’elezione, Tiziano Veronese è passato, nel forgiare la sua creatura musicale, a ricavarsi un ruolo di multistrumentista a tutti gli effetti. In questo disco, infatti, Tiziano fa tutto da solo, mentre i testi sono frutto della collaborazione con Marco Barzetti, cantante della band romana Weird., il quale mi dicono prenderà parte, in qualità di chitarrista, al tour di presentazione del disco.

Grace costituisce una sterzata decisa rispetto ai suoni ascoltati e alle atmosfere vissute nell’ultimo disco, il doppio Neither Virtue Nor Anger, uscito a fine 2015: invece di optare per una continuità in termini stilistici rispetto al fortunato esordio, si è deciso di cambiare tutto o quasi, alleggerendo quella vena psichedelica scura e brutale in favore di uno shoegaze che non rinuncia ad andare verso la luce, snocciolando linee melodiche che rimangono impresse già dal primo ascolto. Quel muro di suono che tanto mi aveva impressionato la prima volta che ho avuto modo di ascoltare i Sonic Jesus dal vivo, scuro, minaccioso ed impenetrabile, sembra ora – se non sgretolarsi – quanto meno venire ingentilito dai tappeti di tastiere e dalla voce che, sia pure travisata in continuità con il precedente capitolo, non rinuncia a farsi melodiosa, in un continuo chiaroscuro. L’organo Farfisa, che connotava in maniera netta la musica dei Sonic Jesus conferendole un accento marcatamente retrò, è stato soppiantato da tastieroni anni Ottanta: spesso e volentieri si va in direzione di certa new wave, si flirta con i ritmi sintetici e le linee di basso “à la Simon Gallup” risultano preponderanti nel discorso. I riferimenti vanno da Jesus & Mary Chain, numi tutelari sempre sullo sfondo, a Echo & The Bunnymen (“I Hope”), dai Cure (“Space Heels” e “Funeral Party”, omonima del brano di Smith e soci) a cose più facili come gli Interpol (“I’m In Grace”).

Più di qualcosa, avrete capito, non vi suonerà esattamente come nuovo o particolarmente originale, ma il rischio del già sentito è connaturato al genere in questione. Negli ultimi anni almeno un paio di grandi nomi legati allo shoegaze è tornato alla ribalta sulla scia del rinnovato interesse per certe sonorità: ecco, penso che quantomeno questo disco, disponibile dal 10 marzo su etichetta Fuzz Club, sia un boccone più sostanzioso delle minestre riscaldate di cui sopra.