SONIC JESUS, 20/2/2016 (con intervista)

Latina, Circolo H.

SONIC JESUS

La fettuccia di Terracina è quella porzione della via Appia che solca l’Agro Pontino, famosa per le scene de “Il Sorpasso” di Dino Risi e perché nominata spesso da Renato Pozzetto nei suoi sketch surreali. La fettuccia, se hai un paio di casse decenti in macchina, è il posto migliore del mondo dove ascoltare musica: non sei distratto dalla guida, perché la strada scorre perfettamente rettilinea, senza una curva, per oltre cinquanta chilometri e dura il tempo medio di un album, almeno alla mia velocità di crociera. La fettuccia di Terracina collega praticamente casa mia a Doganella di Ninfa, piccolo borgo in provincia di Latina, casa dei Sonic Jesus. Di chilometri il gruppo laziale ne ha macinati tanti in questi anni, girando l’Europa in lungo e largo per portare ovunque la propria musica, partecipando a manifestazioni importanti quali l’Eindhoven Psych Lab e il Reverence Festival in Portogallo; hanno condiviso il palco con vere e proprie leggende: da Damo Suzuki agli Hawkwind e agli Psychic Tv. Questa sera la band è ospite del Circolo H di Latina per una sorta di data zero del nuovo tour europeo che toccherà Danimarca, Francia, Inghilterra e Scozia. La line up del gruppo è leggermente cambiata rispetto all’ultima volta che l’ho visto dal vivo: ai componenti “storici” Tiziano Veronese, chitarra e voce, Marco Baldassari dietro l’organo e Simone Russo alla batteria, si sono aggiunti Corrado Maria De Santis alla chitarra e Milo Scaglioni al basso. Quest’ultimo farà anche da opening act della serata, con un piacevole set di pezzi propri, voce e chitarra acustica, fra Syd Barrett e Nick Drake. Prima del live faccio due chiacchere con Tiziano e Marco, musica e parole dei Sonic Jesus.

Quando e come nasce la band?

Marco Baldassari: Marzo 2012, nasce come un progetto fra due amici che poi, con il tempo, è diventato una cosa “seria”: io non sono mai stato un musicista vero e proprio, ho iniziato dal niente, Tiziano all’epoca ancora suonava la batteria, lui era un batterista…

Tiziano Veronesi: … vabbè, ancora lo sono, ancora insegno batteria, ancora la suono… all’epoca non ci aspettavamo che succedesse niente di tutto questo, io avevo scritto due canzonette…

Da dove viene il nome “Sonic Jesus”?

Marco: Sono due parole che, prima di tutto, funzionano benissimo tra di loro, la parola “Sonic” è molto utilizzata nell’ambito musicale a cui ci ispiriamo, The Sonics, Sonic Boom, Sonic Youth, e “Jesus” è per la canzone dei Velvet Underground.

Quindi già nel nome c’è un chiaro legame con un certo periodo storico ed un certo modo di fare musica. Quando si parla di Sonic Jesus si fanno sempre anche altri riferimenti musicali: la scena psichedelica inglese di fine anni Ottanta, lo shoegaze, il krautrock… In questo momento, arrivando alla musica di oggi, che cosa ascoltate?

Marco: Ascoltiamo anche cose che non c’entrano niente con gli Spacemen 3 e i Velvet Underground. Un disco che mi ha colpito recentemente, se devo fare un nome, è l’ultimo di Anna Von Hausswolff, una ragazza svedese veramente brava. In sintesi un po’ di tutto, anche la classica, il Bolero di Ravel ascoltato fino allo sfinimento…

A me sembra che voi siate un caso particolare nel panorama musicale italiano, visto che suonate più all’estero che qui: pensate che fuori dal nostro Paese ci sia più attenzione verso proposte musicali come la vostra?

Tiziano: Più che altro facciamo un genere che non è “italiano”, non siamo decisamente l’accoppiata Mogol-Battisti. Quello che abbiamo di molto “italiano” è l’attenzione per la melodia: non so se sia una cosa che venga naturalmente, ma io quando compongo cerco sempre di tirare fuori qualcosa che sia molto melodico, molto cantabile. Comunque alla fine Battisti, De Andrè, come fai a non ascoltarli? Anche non volendo…

Marco, tu scrivi i testi: ti ispiri a qualcosa in particolare? Hai delle letture di riferimento?

Marco: Io leggo molto, per il disco ci sono stati autori che mi hanno ispirato più che altro per lo stile di scrittura, per il metodo, solo su alcune tracce: la maggior parte del materiale scaturisce da visioni mie personali, da esperienze di vita.

Per l’artwork dei vostri dischi utilizzate molto le immagini religiose: cosa c’è dietro questa scelta estetica?

Tiziano: Tocchi un tasto dolente. Durante la scelta del nome ci siamo lasciati convincere da un quadro che mio padre ha dipinto quando era diciottenne, che poi è l’immagine di Cristo che campeggia sulla cassa della batteria. All’epoca ci fu una grande discussione tra me e Marco: lui vedeva la bellezza, la potenzialità del nome, anch’io la vedevo ma avevo una sorta di presentimento negativo. Uscire fuori con un nome ed un’immagine del genere è stata un po’ un’arma a doppio taglio: da una parte ci ha dato una forte riconoscibilità, dall’altra ha creato un po’ di confusione. C’è capitata una serata in Serbia in cui il booker ha allestito una messinscena vestendosi da prete e distribuendo le ostie all’entrata, e non è la prima volta che succedono cose del genere; ultimamente c’è stata una discussione fra di noi per una locandina di una serata, che ci è stata fatta, con l’immagine di una chiesa… un po’ danno fastidio certe cose. Alcune persone hanno addirittura pensato facessimo christian rock…

Progetti per il futuro?

Tiziano: Di sicuro non ci fermeremo, continueremo a suonare in giro e a lavorare per un nuovo disco. Ci piace sperimentare: magari cambieremo genere… cambieremo, per l’ennesima volta, elementi… Ripeto, i Sonic Jesus più che una band sono un progetto: le band nascono da ragazzini, noi ci siamo incontrati a trent’anni e non potevamo pensare di fare una band. È per questo che vedi musicisti andare e venire, proprio perché è un progetto e ti appoggi a chi in quel momento può darti quello di cui hai bisogno.

I Sonic Jesus nell’arco di un’ora e mezza suonano solo parte dei pezzi contenuti nel doppio disco Neither Virtue Nor Anger, uscito per la londinese Fuzz Club lo scorso aprile. Tiziano, come sempre, tira fuori dalla sei corde un suono corposo e ricco di sfumature, Marco si alterna fra le pennellate acide del suo Farfisa rosso fiammante e percussioni varie. I due nuovi innesti, al basso e alla seconda chitarra, sembrano, tutto sommato, ben inseriti nell’economia della band e, insieme a Simone Russo e al suo incedere krauto alla batteria, contribuiscono a tirare su quel muro di suono ormai marchio di fabbrica del gruppo. Il pubblico reagisce con uguale entusiasmo sia ai pezzi più vecchi come “Underground” o “Monkey On My Back”, già presenti nell’ep d’esordio e ben conosciuti da queste parti, sia ai pezzi più nuovi: su tutti una bellissima “Triumph”. A tratti i Sonic Jesus sembrano ricordare gli A Place To Bury Strangers, a tratti i californiani Crocodiles, per citare esempi contemporanei, oltre ai maestri di musiche “da viaggio” Loop e Spacemen 3. Finito il concerto prendo di nuovo la fettuccia e me ne ritorno a casa, pensando che, in fondo, in serate come questa vivere in provincia non è poi tanto male.