SEA DWELLER, Signs Of A Perfect Disaster

Signs Of A Perfect Disaster

Non serve scrivere che lo shoegaze è tornato di moda in questi anni, venendo anche ricontestualizzato dove non t’immagini. Per i Sea Dweller – a occhio e croce – il mondo s’è fermato al massimo nel 1991, ma è il caso di aggiungere un chissenefrega. Due chitarre, basso e una drum machine per sette pezzi che conducono in un luogo sospeso e fragile, lo stesso dove sono passati Lush, Ride,  Slowdive e My Bloody Valentine (la prima recensione del disco l’ho trovata sul blog “Feed Me With Your Kiss”…). Qualche anno prima, probabilmente, avrebbero ascoltato i Cure. Voci soffuse d’adolescenti, melodie delicate, basso pulsante quando serve e sound riverberato e pulviscolare: sanno tutti i trucchi del mestiere e ricreano – come da copione – stati d’animo ambigui, a metà strada tra beatitudine e tristezza. La loro forza sta semplicemente nel “tocco” pop, qualcosa di molto difficile da descrivere, ma facilissimo da individuare quando s’ascolta il disco. Potremmo immaginarli, pallidissimi, girare per Londra e scroccare a qualcuno una copia di Melody Maker per vedere se c’è la recensione di Signs Of A Perfect Disaster, invece sono di Roma e ogni tanto googleranno alla ricerca di qualcuno che abbia parlato di loro. Molto meno romantico, ma quel che conta è che il disco è bello.