SCOTT WALKER, Bish Bosch

Bish Bosch

Pain Is Not Alone.

Ogni disco a firma Scott Walker ormai è un evento. Uno come lui ha davvero acquisito sul campo le stelle di blasonato autore pop nel senso più ampio del termine, prima coi Walker Brothers, poi iniziando una carriera solista – parca di pubblicazioni – che lo ha catapultato nell’Olimpo dei più grandi. Il livello raggiunto è ormai talmente alto che un dato è chiaro: nessuno può lontanamente avvicinarlo. Inutile che tanti musicisti odierni si affannino ad architettare la composizione perfetta, l’autore di Scott 4 e Tilt vive su di un altro pianeta (quello che ha ospitato con coraggio un Don Van Vliet, un Joe Meek, un Moondog, un Tim Buckley… altri non ce ne vengono in mente).

I pezzi di questo Bish Bosch sono come lame taglienti (quelle di “Corps De Blah”, per esempio), abili a fendere con ferocia il cadavere del rock, e usano con sicumera chitarre dolorose: la lunga “SDSS14+13B (Zercon, A Flagpole Sitter)” è un mezzo capolavoro, per non parlare di quella batteria… Non dimentichiamo il cantato di Walker: tecnico, languido, in falsetto e non, pure declamatorio all’occorrenza. Il singolo scelto per presentare l’album, “Epizootics!”, possiede anche fiati potenti, degni di venir suonati da uno come Mats Gustafsson. L’exotica sinistra di “Phrasing”, poi, è qualcosa di sublime, incastonata com’è tra chitarre arcigne e una voce che schiavizza questa canzone cosi impervia e affascinante da rasentare un’istantanea Sindrome di Stendhal. La bellezza delle composizioni, infatti, è paragonabile ad una epifanica skenè in forma di note, una sconvolgente scena teatrale messa in atto da un vero mito all’opera. Per non parlare dell’apparato testuale e delle citazioni, complesse e sinceramente impegnative, genuine sin nel midollo: Walker in questo è profondamente europeo, scava coscienzioso nella Storia, affronta miti e perversioni della società contemporanea e si permette il lusso di argomentare su di un dittatore sanguinario come Nicolae Ceausescu nella conclusiva e agghiacciante “The Day The Conducator Died (An Xmas Song)”, quasi una sorta di dolente rilettura di un public domain natalizio (ancora ci ricordiamo di quelle giornate passate davanti alla tv ad osservare attoniti la fine non solo di una nazione e di un uomo, ma di un’epoca tutta).

Bish Bosch è, ribadiamo, lavoro ostico e misterioso (compreso l’artwork solo all’apparenza semplice del giovane Ben Farquharson), che rafforza la posizione consolidata e l’aura di musicista a tutto campo di quest’uomo originario dell’Ohio, ma trapiantato da anni a Londra. Per farvi un’idea più precisa della persona e dell’artista (per quello che è possibile), recuperate il film di qualche anno fa a lui dedicato, “Scott Walker, 30 Century Man” per la regia di Stephen Kijak: rimarrete sedotti da un alieno. Mica roba da poco, no? Per noi il suo percorso fa rima con vera classe, difficile aggiungere altro.

Dietro alla consolle il fidato Peter Walsh (con lui dai tempi di Climate Of Hunter), uno che è passato con nonchalance dagli esordi degli Heaven 17 ai Pulp (Jarvis Cocker è suo fan accanito)… e questi ultimi non a caso si fecero produrre l’ultimo lavoro in studio, We Love Life (2001), proprio dall’autore di The Drift. E il cerchio si chiude.

Tracklist 

01. See You Don’t Bump His Head
02. Corps De Blah
03. Phrasing
04. SDSS14+13B (Zercon, A Flagpole Sitter)
05. Epizootics!
06. Dimple
07. Tar
08. Pilgrim
09. The Day The Conducator Died (An Xmas Song)