SATAN IS MY BROTHER, They Made Us Climb Up Here

SIMB

Sulfurei, storti, coperti da una spessa cortina fumogena (proprio come in una delle immagini che li ritraggono) i milanesi Satan Is My Brother tornano dopo A Forest Dark, ma questo è il loro terzo parto, il primo omonimo risale – sempre per Boring Machines – al 2007. They Made Us Climb Up Here si presenta come album coeso e dalla non facile intelligibilità, ma questa a conti fatti è proprio l’arma vincente del progetto. Confondere le carte fa parte quindi del gioco, le composizioni in sostanza possono venir percepite come insonorizzazioni singole che conservano sempre un minimo di collegamento. L’apertura va di stratificazioni sonore che mettono in risalto i fiati (trombone e sax) e quella particolare vena malata e nero pece cara, solo per fare un nome, a Bohren & Der Club Of Gore, ma serve solo per il classico giochetto del “giusto per capirci” e poco più. Qui mancano le atmosfere jazzate che sanno di Hollywood marcia, fate conto invece di assistere a delle immagini musicali in “total black”, che vi catturano ed ancora non avete capito bene perché. La fascinazione sta in quella sorta di sperdimento sensoriale che sono capaci di mettere in pratica, anche quando s’immergono in mondi lontani (la vaga somiglianza a qualcosa di orientale in “Third Path”), e tirano spediti verso una dimensione ancora più aliena, e sempre poco definibile, come nelle atmosfere sospese di “Fifth Path”. A questo punto si capisce perché il sentiero preso porti ad approdare a questa formula che può solo spiazzare, creando artatamente “confusione”. L’obiettivo del quartetto è proprio quello, crediamo, quindi è centrato in pieno.