SAMOTHRACE, Bryan Spinks

Samothrace (foto di Amelia Powell)

Con i Samothrace e il loro Life’s Trade (2008) è stato amore al primo ascolto, un amore messo a dura prova dalla lunga attesa di un seguito capace di alimentare nuovamente la fiamma e mantenere alta la soglia d’attenzione. Per fortuna, dopo quattro anni durante i quali si era praticamente persa ogni traccia della formazione, Reverence To Stone è arrivato per colmare il vuoto e confermare quanto di positivo già s’intuiva ai tempi del debutto. Sempre disponibile e schietto, Bryan Spinks si è prestato a farci da guida attraverso le due lunghe tracce che vanno a comporre il nuovo album.

Credo che i Samothrace abbiano un approccio alquanto originale e aperto al doom (o come preferite chiamarlo). Potete aiutarci ad individuare le ragioni o l’ingrediente segreto che dona alla vostra musica un sapore così personale?

Bryan Spinks: Quando abbiamo iniziato e, in particolare, quando ho cominciato a scrivere il materiale che sarebbe finito su Life’s Trade, non volevamo limitarci a omaggiare o riproporre la solita vecchia formula. Volevo piuttosto scrivere il tipo di doom che mi sarebbe piaciuto ascoltare. Non solo i riff che avrei voluto suonare, ma quelli che avrei voluto poter sentire come ascoltatore. Non che non amassi più il doom metal, come avevo fatto per anni, semplicemente mi dava l’idea che fosse diventato un po’ troppo stagnante e volevo creare qualcosa di leggermente diverso. Le tue parole mi fanno davvero contento, mi piace pensare che i Samothrace abbiano un loro sound particolare, pur senza dimenticare le radici e ciò che ci ha portato fino a qui: riff solidi e pesanti.

A essere onesto, abbiamo dovuto aspettare un lasso di tempo abbastanza lungo per questo ritorno e, ad un certo punto, siete completamente spariti dal radar. Cosa è successo in questo periodo, se posso permettermi di chiedertelo?

Innanzitutto, abbiamo spostato la band da Lawrence, nel Kansas, a Seattle, Washington. Inoltre, abbiamo dovuto affrontare un paio di cambi di line-up. Infine, c’erano anche vecchi problemi di abuso di alcolici e droghe che alcuni di noi hanno dovuto risolvere. C’è voluto del tempo ma ora stiamo davvero bene e siamo intenzionati a guardare al futuro.

Reverence To Stone si apre con When We Emerged, un brano che avevate già registrato sulla vostra demo del 2007. Qual è la ragione che vi ha spinto a lavorarci di nuovo sopra? Possiamo considerarlo un ponte steso tra il vostro passato e il vostro futuro?

Quella canzone è stata tra le prime che ho scritto per i Samothrace. L’abbiamo sempre amata e ci siamo sempre ripromessi di riprenderla prima o poi. Un paio di anni fa abbiamo iniziato nuovamente a suonarla dal vivo e, così, ci è venuto naturale registrarla di nuovo. La sua parte finale presenta uno dei miei riff preferiti di sempre e spero che, dopo tutti questi anni, risulti sempre intensa come allora.

Samothrace (foto di Amelia Powell)

La seconda traccia, “A Horse Of Our Own”, è davvero complessa e riassume benissimo il marchio di fabbrica dei Samothrace, oltre a presentare dei nuovi spunti. Al suo interno troviamo un lavoro di chitarra incredibile che la fa apparire sfaccettata, quasi si muovesse su più strati che interagiscono fino ad occupare ciascuno il suo posto specifico. Condividi questo punto di vista? 

Assolutamente. Questo brano ci ha permesso di giocare con i nostri attacchi di chitarre, quasi fosse un duello. Abbiamo sempre enfatizzato le melodie e le armonie, così da permettere alle parti di chitarra di evolversi lungo le varie sezioni. Tendiamo a restare ancorati allo stesso riff per lungo tempo, ma lavoriamo sulle melodie e sulle strutture per dar vita a differenti layer all’interno del riff principale. Ci piace vederla così: abbiamo due chitarre… perché non usarle?

Sarebbe bello sapere qualcosa di più sul suo testo.

Durante la mia lotta contro la droga ho cominciato ad accorgermi dell’ipocrisia delle persone che circondavano me e i miei amici. Ho scoperto come sia perfettamente accettabile che tu beva fino a collassare per ritrovarti come un relitto al tuo risveglio, tanto da venire subito perdonato quasi si trattasse di un comportamento del tutto normale. Al contrario, molte persone con problemi di alcol sono pronte a puntare il dito verso chi si droga. Per questo è importante per me sottolineare come si stia parlando della esattamente la stessa cosa.  Siamo tutti in sella a un nostro cavallo (letterale: “A Horse Of Our Own”, come il titolo della canzone, ndr) e, sia esso bianco o meno, proviamo tutti ad ottenebrarci in un modo o nell’altro. Se, poi, per te non è così, ancora meglio.

Credo si possa parlare di alcune influenze anni Settanta nascoste nel vostro songwriting, per cui mi incuriosisce sapere quali sono i vostri gusti in fatto di musica. Cosa vi attrae quando lasciate gli strumenti per tornare ad essere semplici ascoltatori?

Ho sempre provato una forte affinità con il rock classico, in particolare per il southern rock. Crescendo in Oklahoma, era una parte inevitabile della mia vita quotidiana, visto che lo passavano le radio. Sono anche un fan dei Pink Floyd e della Band. In realtà, però, sono un disastro per quanto riguarda gli assoli blues di stile meno tradizionale. Nel mio stile di chitarra trovi tutte le classiche influenze come Led Zeppelin e Black Sabbath, ma ce ne sono altre meno evidenti o meno conosciute che hanno avuto un forte impatto sul mio modo di suonare. Non posso negare la mia attrazione per Slash e per il suo stile fenomenale, anche oggi fumo Marlboro rosse per colpa di Slash. Cazzo, non ci credo che ti ho confessato questa cosa…

Life’s Trade si presentava con un artwork incredibile  realizzato da David V. D’Andrea, cosa mi dici del nuovo disco? Chi si è occupato della parte grafica?

L’artwork del nuovo album è stato creato da Moses Saarni di Oakland. Suonava la batteria in molte band, tra cui la formazione hardcore Lesser Of Two. La sua arte è semplicemente favolosa e, quando è venuto il momento, ho dovuto per forza chiedergli di occuparsi del nostro disco. Siamo più che soddisfatti del risultato finale, ha fatto un eccellente lavoro.

Samothrace (foto di Amelia Powell)

A parte i Samothrace, siete coinvolti in altri progetti musicali?

Io, personalmente, sono un tipo da una band e basta. Gli altri, invece, sono coinvolti in una moltitudine di progetti: i più importanti sono Skarp, Theories e Bell Witch.

Durante la nostra chiacchierata precedete, mi avevi descritto la vostra scena locale come particolarmente fervida, è lo stesso oggi?

Sì, è sempre molto attiva, anche di più per quanto concerne la scena heavy. Le cose sono davvero esplose nel corso degli ultimi anni. Seattle ha davvero una comunità incredibile per quanto riguarda il doom e lo stoner.

Cosa mi dici dei vostri concerti?

Mettiamo davvero il cuore e l’anima nei nostri live show, niente specchi o fumo, solo noi stessi. Ci sono solo una o due cose che amo nella vita più di suonare dal vivo. Punto.

C’è qualche possibilità di vedervi dal vivo nel vecchio continente?

Ci piacerebbe moltissimo venire in tour oltre oceano. Sono anni che proviamo ad organizzarlo. Se Reverence To Stone verrà accolto bene, ci saranno serie possibilità di realizzare questo progetto. Credo che sarebbe un’avventura fantastica. Tenete gli occhi aperti, potrebbe accadere nel 2013.

Lascio a te la conclusione, grazie mille per il tuo tempo.

Grazie a te per il tempo e per le belle parole. Hails and cheers!