SABLED SUN, 2147

2147

Simon Heath è molto attivo: manda avanti un’etichetta (Cryo Chamber), un progetto ormai storico come Atrium Carceri (che è stato spinto da Roger Karmanik fino a che la Cold Meat Industry ha funzionato) e da qualche anno c’è anche Sabled Sun, che nasce con lo scopo di raccontare la storia del mondo fra un secolo, quando un uomo si sveglierà dall’ibernazione e non troverà più nessuno. Cominciamo dai dati assodati: tutti quelli che seguono il genere sanno che il tratto distintivo di Heath sono le produzioni cristalline, e 2147 non fa affatto eccezione alla regola; i titoli delle tracce – sempre secondo tradizione – lasciano immaginare scene e un abbozzo di trama (a me par di capire che l’umanità sia scappata nello spazio e che il protagonista torni a ibernarsi sperando che qualcuno venga a prenderlo); come sempre, inoltre, ci sono parti più narrative (i passi di “Survival”, l’entrata nello “Space Center”), ma anche momenti più lirici. Sono questi ultimi ad aiutarmi decisamente nella fruizione dell’album, altrimenti avrei la sensazione di essere di fronte a un lavoro molto professionale, ma senz’anima: i tocchi di piano di “Emulation” e dei “titoli di coda” di “Dreams Without A Future” sono due buoni esempi di questo, ma anche il drone avvolgente e le atmosfere di “Home” non sono niente male, così come l’accenno di chitarra sempre in “Space Center”, che dà l’idea che qualcosa di stupendo stia schiudendosi davanti ai nostri occhi. In sintesi: 2147 è ancora una volta destinato a un pubblico già convertito alla causa, che in compenso non dovrebbe rimaner deluso.