Rock Of Ages, il rock del Sunset Strip secondo Scientology

Rock Of Ages

Un’afosa domenica pomeriggio del primo di luglio. Il refrigerio di una sala da cinema, praticamente vuota, solo io, la mia ragazza e il sistema d’aria condizionata che, in maniera pigra e svogliata, inizia a fare il suo lavoro. È evidente che questo film non è proprio nelle corde del pubblico italiano: è la riproduzione non brillante di un musical di successo, per di più con musiche sconosciute al 98% della popolazione, con una trama cheesy in bilico tra Tommy & Gina e “l’angelo caduto” dei Poison. Eppure – a differenza degli hater italioti sempre pronti a denigrare l’ingresso della fruizione di massa nella loro piccola nicchia idiosincratica – questo film muove a quella simpatia tipica di uno zio attempato, insegnante di letteratura inglese, che va a vedere la recita del nipote dodicenne che interpreta Enrico VIII. Per creare questo film, e il musical stesso, si è messo maldestramente tutto insieme, sia dal punto di vista musicale sia estetico: dieci scomposti e irrequieti anni, e oltre, di una cultura pop dalle millesimali sfaccettature, che neanche in formato soap opera o con l’ostinata longevità di Beautiful si poteva raccontare a dovere. Rock Of Ages è, invece, il formato masticabile, ballerino e anche vagamente effeminato con cui solleticare il ricordo vago e fantastico dell’era d’oro del rock, guardando, con un sospiro, tra una lettera e l’altra della scritta Hollywood, il manto di seta nera tempestato da luci della città degli angeli. Banditi tutti i segni del disfacimento e del “declino” che hanno caratterizzato quel periodo: la droga, in primis, la carne cruda, l’abuso, gli incidenti, i drammi e la morte. Qualche timido e ingenuo accenno qua e là, ma niente che turbi il pathos onirico di un musical che, in molti casi, reinterpreta con successo e trasporto hit di diverse fasi degli ‘80’s, seppure con imbarazzanti incongruenze cronologiche e di stile.

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