roBOt09 – What Comes Next, 5-6-7-8/10/2016

Bologna, Ex Ospedale Dei Bastardini.

Il roBOt, con un preavviso di qualche mese, torna anche quest’anno. Un festival capace di unire appassionati, curiosi e un discreto numero di avventori occasionali nei grandi spazi della Fiera, di colorare le facciate storiche del centro con il mapping di bravissimi vj, ma anche di dialogare in modo costruttivo con le altre realtà musicali bolognesi. Insomma, un appuntamento annuale che, piaccia o meno, rende la città un po’ più piena e frizzante quando l’autunno è alle porte.

L’edizione di quest’anno è decisamente ridotta rispetto alle precedenti, nelle dimensioni come nei prezzi, e la line-up punta a dare più spazio del solito ad artisti italiani e internazionali ancora “in itinere”, regalando poi i grandi nomi al consueto after-party.

Se nei Paths di apertura a Palazzo Re Enzo, così come nella prima serata del festival, emergono nomi locali, dal Suz Quartet ai Godblesscomputers, l’Ex Ospedale dei Bastardini, spazio che abbiamo imparato a conoscere grazie a Ombre Lunghe, ospita quattro giorni di sperimentazioni che rimbalzano tra le due sale aperte, in un programma decisamente vario. Vi raccontiamo ciò che abbiamo visto.

Giovedì

The Dwarfs Of East Agouza

Un’ora abbondante di deliri sonori per The Dwarfs Of East Agouza, tra le storture chitarristiche di Sam Shalabi, l’accompagnamento all’acustica di un vero “personaggio” come Alan Bishop (fa quasi timore avvicinarsi a lui) e le basi ritmiche, a volte claudicanti va detto, di Maurice Louca, che dopo una smorfia per un inconveniente tecnico riprende il suo cammino e dà spessore all’intera esibizione. Questi elementi potrebbero forse bastare a far allontanare gli ascoltatori più esigenti, ma alla fine poco importa, dato che i tre mettono semplicemente in scena il loro continuum sonoro (proprio come avviene nel disco), che può anche permettersi di zoppicare vistosamente, tanto è capace di rialzarsi come e meglio di prima. Una prima parte con Shalabi sugli scudi, una centrale relativamente più sommessa, con Bishop che a un certo punto gorgheggia nonsense come un posseduto, forse lo spirito del dio Bes era venuto a trovarlo; una parte finale ancora più torrenziale, dove si accenna soltanto a “Baka Of The Future”. La loro è musica “improvvisativa” nel vero senso della parola, diversa di proposito rispetto a quella ascoltata su supporto (non credo possa essere altrimenti…). Viene poi da pensare che se ci fosse stato un batterista piuttosto esperto l’esibizione sarebbe potuta volare ancora più in alto, ma ci si può tranquillamente accontentare di questo pestaggio folk-noise stortissimo e di grezza – ma degna – fattura. In sostanza niente pulizia del suono, zero canovacci programmati a tavolino, solo la loro istintiva versione di un blues fluviale e cacofonico. Nel bene e nel male un concerto indimenticabile, anche perché vederli suonare non capita mica tutti i giorni. (Maurizio Inchingoli)

Venerdì

Petit Singe

La serata si apre con le performance audio-visual, che al roBOt non mancano mai. Dopo il live di Presente + Andrea Masciadri, che purtroppo ci siamo persi, i Lumisokea propongono in anteprima “Nibiru”, nuova collaborazione con Yannick Jaquet “Legoman” di AntiVJ. L’atmosfera è carica di tensione, i suoni iper-saturi e ridotti all’osso, e se la musica riesce da sola a creare un immaginario astrale, uno spazio cupo sospeso nel vuoto, i visual di Jaquet riportano a una dimensione più concreta e terrena. Gli impulsi tattili e le scosse improvvise del duo si fondono con immagini liquide, aria e acqua che scivolano via sulle rocce, in un unico torrente elettrico che parte con ambient sensoriale per arrivare a incursioni techno e dub più decise, sempre schizofreniche e improvvise.

Nella Back Room, più raccolta, troviamo Petit Singe, che ci scalda ma non troppo dopo la metallurgia dei Lumisokea. Reduce dalla Boiler Room tenutasi a Milano, che ha raccolto i migliori nomi legati a The Italian New Wave, Petit Singe ci guida in un mondo sonoro completamente diverso ma che riesce a costruirsi e sostenersi autonomamente, tra percussioni tonanti, canti antichi e amplificazioni psichedeliche. Una musica altamente energica che apre un percorso cognitivo personale e che non ha nulla di quel sapore orientale posticcio che capita di assaporare fin troppe volte. Il connubio sui generis tra i bassi e le casse tradizionali e i richiami da culture differenti non è certo una novità, ma qui la ricerca e la spontaneità sono tangibili (eppure non forzate). Un genere di sperimentazione delicata e forte di spirito al tempo stesso che non poteva mancare alla nona edizione di un festival di musica elettronica di questo tipo.

I dj-set di Route 8 e Beatrice Dillon chiudono la serata per chi, tra gli altri, è venuto sul tardi a ballare e a dimenticarsi del freddo. (Giulia Romanelli)

Sabato

Fabrizio Mammarella

L’ultima sera ai Bastardini concede qualcosa a tutti i palati, prima che sia la volta dell’after al Cassero.

Dopo un assaggio della techno old school di Inner Lakes (ne sentiremo parlare…) nella Back Room, Mop Mop e il suo Electric Trio, affezionati del festival, portano il loro jazz contaminato, tra pezzi vecchi e molte tracce dal nuovo album, Lunar Love. I ritmi caldi, tra dub, folk e synth matti, coinvolgono il pubblico al massimo, creando una sorta di gap nella tradizionale line-up elettronica che viene comunque ben riempito. L’atto finale (per noi) di questo festival rivela l’ultima sorpresa made in Italy: Fabrizio Mammarella. Una dance frizzante la sua, turbolenta, quasi uno smottamento (non è black humour) tra Italo disco, house e gusti più popular. Le influenze e le commistioni sono tante, e sono quelle verso l’electro-rock a coinvolgere e a fondersi al meglio con quel gusto anni Ottanta. Il pubblico è carichissimo e preso bene nonostante gli spazi non proprio larghi, e il vibe di Mammarella è fatto apposta per chi ha ancora una lunga notte davanti.

L’Ex Ospedale è stretto di orari, ma in poche ore giornaliere il roBOt ha raccolto tra i migliori nomi dell’attuale panorama italiano, quello su cui abbiamo voluto concentrarci, spaziando da un’isola all’altra e regalandoci anche qualche nome succoso. Il resto dei commenti lo lasciamo a chi al massimo ha organizzato e gestito la festa di compleanno del proprio cane. (Giulia Romanelli)

Le foto sono di Giulia Signorotto e Marco La Motta, che ringraziamo.

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