QUIET IN THE CAVE

Quiet In The Cave

Avevamo accolto con dispiacere la notizia dello scioglimento dei Quiet In The Cave, una formazione capace di realizzare un lavoro coraggioso e al di fuori degli schemi usuali come Tell Him He’s Dead. Scoperto che, più di un definitivo addio, si tratta di una pausa momentanea e che la band è più che mai decisa a rialzarsi e tornare a produrre ottima musica, abbiamo deciso di fare con loro il punto della situazione e dare ancora una volta visibilità alla loro ultima fatica in attesa di un loro definitivo ritorno in pista.

Partiamo dalla fine, ossia dalla decisione di mettere i Quiet In The Cave in stand-by, una cosa che ci ha colpito parecchio, specie dopo aver ascoltato un lavoro come Tell Him He’s Dead…

Carlo: Colpisce anche noi. Ogni volta che ci pensiamo non ci sembra vero, viste le energie che abbiamo speso negli anni andando contro ogni avversità. La scelta è stata dettata dai problemi del chitarrista/cantante inerenti al lavoro. Un bel giorno ha deciso di cambiare totalmente vita e di andare a lavorare nel Nord Europa. Di fronte a una scelta esistenziale di questo livello nessuno può mettere bocca, si può solo rispettare e dare un grosso in bocca al lupo.

Mike: Ci teniamo a precisare che i Quiet In The Cave non si sono sciolti. È un progetto in stand by a causa della distanza che divide Munholy agli altri tre membri. Ognuno di noi è convinto che il gruppo abbia ancora molto da dire e, come accennato in precedenza, se avremo la possibilità di lavorare insieme per un tempo sufficiente lo faremo con ancora più entusiasmo.

Questa pausa forzata è un vero peccato, soprattutto per la personalità e il coraggio dimostrati lungo un lavoro ricco di ingredienti e rimandi a 360° come Tell Him He’s Dead. Che effetto fa risentirlo ora?

Carlo: Lo mettiamo spesso in auto o a casa, se ci poniamo per un attimo nel ruolo di ascoltatore “esterno” ogni volta pensiamo “cazzo, lo abbiamo fatto noi!”. Le impressioni sono sempre positive, del disco non cambierei niente. I commenti di riviste, fanzine e amici confermano le nostre impressioni.

Una delle caratteristiche peculiari del disco è la capacità di far convivere approcci differenti senza che vi sia una sensazione di discontinuità. Mi hanno colpito soprattutto alcune parti più introspettive, oserei dire ai confini della dark-wave. Come vi siete mossi per arrivare al risultato finale?

Mike: Difficile per noi rispondere a questa domanda, perché tutto quello che succede in fase compositiva è naturale e spontaneo. Tuttavia abbiamo cercato di stare più attenti rispetto al passato alla fluidità delle composizioni. Siamo contenti che questo risulti evidente. Credo che questo sia dovuto ad una maturità prima personale e poi musicale. Alla base di tutto c’è un rispetto reciproco enorme, ed ormai una conoscenza più che decennale. Ognuno trova, senza alcuna forzatura, spazio per esprimere la propria personalità.

Facciamo un passo indietro, come vi siete formati e da che esperienze provengono i membri della band?

Mike: I Quiet In The Cave nascono come trio nel 2002: Ale e Munholy provenivano da un gruppo death-black, dove quest’ultimo suonava il basso e cantava. Una volta sciolto è stato reclutato Carlo al basso visto che Munholy preferiva la chitarra. Fu subito spontanea la direzione “sperimentale” del nuovo progetto che divenne più marcata con il mio ingresso alle parti elettroniche, un anno dopo.

Credete che un background da ascoltatori onnivori possa essere di aiuto per comporre musica che sappia andare oltre schemi e stili prestabiliti?

Carlo: Senza ombra di dubbio avere molta musica da cui prendere ispirazione è come avere la possibilità di pescare da un archivio: più grande è questo archivio, più informazioni utili si trovano.

Munholy: Se ti fossilizzi su di un solo genere musicale dopo un po’ farai la solita frittata, se ne ascolti tanti, se possiedi cultura, hai una mente aperta e una buona dose di coraggio, allora potrai tirar fuori idee nuove e stimolanti.

Nel vostro caso, quali credete siano state le maggiori fonti di ispirazione, non solo musicali?

Carlo: L’ispirazione maggiore sono le nostre esperienze di vita, soprattutto quelle tristi e negative da cui cerchiamo di trarre il più possibile forza ed energia positiva . Ognuno di noi ha un “passeggero oscuro” che ogni tanto chiede di farsi un giro uscendo da dentro. Non c’è modo migliore che dargli spazio nella musica. Per quanto riguarda la parte strettamente musicale, Munholy attinge dal black metal, dall’ambient e dalla musica psichedelica anni Settanta. Mike è sicuramente il più colto, musicalmente parlando: è un amante della musica a 360 gradi e in particolare del dark e del metal fin dalle sue origini. Alessandro ama l’hardcore e il post-metal, io amo il jazz, il funky, il crossover e il post-hardcore.

Se il lato musicale è interessante, verrebbe da affermare che anche quello grafico non è da meno. Vi va di parlarci del packaging e delle grafiche?

Mike: Volevamo che Tell Him He’s Dead si presentasse bene, e così è stato. Abbiamo la grande fortuna di avere tra i nostri amici anche artisti di enorme valore come Michele Guidarini e Alessandro Baldoni (cercateli su Facebook, meritano almeno un “mi piace”). Gli abbiamo fatti collaborare e la copertina è il risultato della loro unione artistica. La realizzazione e la stampa è stata tutta a carico nostro, grazie al fatto di far parte dell’associazione culturale Cave Canem DIY che si occupa della promozione di un certo tipo di fare musica nel nostro territorio.

Chi si è occupato dei testi? Vi va di parlarci del loro contenuto?

Carlo: I testi sono scritti per lo più da me e Mike , sono principalmente riflessioni esistenziali, parlano del nostro lato oscuro, del mondo che ci circonda e della convivenza, spesso conflittuale, tra queste due cose. Ci teniamo comunque a dare al testo un ampio spazio di interpretazione perché a noi piace l’idea che qualsiasi ascoltatore possa farsi un’idea personale della canzone e non sia plagiato, o peggio escluso, dai nostri pensieri.

Avete già qualche idea per il futuro? Nuovi progetti o idee sul fuoco mentre attendete di poter rimettere in moto i Quiet In The Cave?

Carlo: Per quanto riguarda i Quiet In The Cave l’idea principale è quella di convincere Munholy a tornare in Italia! Fuori dai Quiet In The Cave, Ale ha formato gli Autoblastindog già da qualche anno, coi quali sfoga la sua passione per l’hardcore e il noise. I membri dei Quiet In The Cave rimasti in Italia hanno poi un nuovo progetto con Isacco, bassista degli Autoblasting Dog, chiamato LVTVM. Anche qui la voglia di sperimentazione è tanta, perché la formazione prevede due bassi, batteria e synth. Il progetto ci assorbe molto, sta nascendo qualcosa di interessante.