PORYA HATAMI, Unstable

Unstable

La prima notizia è che in Iran esiste musica così. Non è senso di superiorità, anzi: è un’ammissione di ignoranza. Quali sono i paesaggi esteriori o interiori che danno vita a Unstable? Da questa distanza si può solo usare l’intuito: l’album appare in tutto e per tutto intimista e aggraziato, solare, ma con un fondo – a tratti percettibile – d’inquietudine, sul quale ad esempio si trova un brano più sconfortante come “Uncertain”, mentre la title-track sembra richiamare sentimenti più ambigui, a metà strada tra Roach e Tim Hecker. I field recordings sono una parte consistente di quest’uscita Nephogram e fungono sia da elemento pacificatore nel loro essere associati a una natura benevola, sia come sostrato glitch e crepitante, sul quale s’appoggiano note di tastiera riverberate e fragilissime. Tutto quanto, s’ipotizza, fuso assieme grazie a un laptop. Si potrebbero citare, oltre al “dronegaze”, le atmosfere di casa Touch e Kranky: l’accostamento è molto istintivo e non tecnico, ma il primo disco che m’è venuto in mente sentendo Hatami è For Waiting, For Chasing di Pan•American.

Insomma, Unstable non può essere venduto come ciò che ridefinirà i confini dell’elettronica, ma possiede – guarda caso – la bellezza di tutte quelle cose che hanno vita per brevissimo tempo. Sta all’appassionato approfittarne.

Tracklist

01. Spin
02. Spoon
03. Transition
04. Uncertain
05. Unstable