PATER NEMBROT, Nusun

PATER NEMBROT, Nusun

Il terzo lavoro sulla lunga distanza dei miei concittadini Pater Nembrot (Cesena) è una cavalcata interstellare: qui psichedelia, stoner e riflussi grunge anni Novanta si fondono alla perfezione in un magma sonoro vivo e palpitante. Il gruppo dimostra di saper dosare sapientemente scariche elettriche feroci con momenti più intimisti, durante i quali la voce del frontman Filippo viene fuori al contempo in tutta la sua delicatezza e in tutto il suo spessore. L’aver poi innestato nell’ossatura della band la chitarra di Ramona ha ulteriormente alzato il tiro di questo pugno di canzoni, conferendo anche un tocco femminile al tutto. Le tracce scorrono via in maniera fluida, sorrette da un songwriting robusto e privo d’incertezza alcuna. Il quartetto mostra di avere anche una certa predilezione per il progressive di matrice Seventies, penso al suono spesso dilatato di un pezzo come “Architeuthis”, con i suoi dieci minuti di lunghezza, nel corso dei quali esce fuori anche il lato più sperimentale dei Pater Nembrot. Quello che mi ha colpito di più è la coesione che hanno dimostrato in questo Nusun: possiedono precisione millimetrica e non lasciano nulla al caso, concedendosi anche lunghe divagazioni liquide. Il drumming è poderoso ma allo stesso tempo morbido, in grado di scandire i tempi in maniera eccelsa, con grande varietà esecutiva. Il basso, invece, è il gran maestro di questa cerimonia, pulsante e vibrante. L’aver poi inserito nel tessuto musicale anche dei synth (suonati da Peters dei Samsara Blues Explosion) rende la loro proposta ancora più cosmica. Discorso a parte per l’elemento visivo: tenui colori pastello tratteggiano un artwork curatissimo ed essenziale, giocato tutto sui chiaroscuri, con la semplicità a far da padrona.

Che altro aggiungere? L’astronave Pater Nembrot sta già scaldando i motori con numerose date dal vivo e date retta a me, andate e gustateveli, perché la dimensione live accentua ancora di più questo grande ultima loro fatica in studio.