NETHER REGIONS, Into The Breach

Into The Breach

Incandescente magma sonoro questo dei ragazzi di Portland, Oregon. Da quelle parti la musica fa necessariamente comunella con un clima spesso plumbeo e tanto piovoso, che non a caso ha dato ispirazione e frustrazioni varie a mille realtà, le più disparate (Agalloch, Melvins e Karp vengono da quelle parti).

La differenza che passa tra i gruppi citati e il quartetto è che la struttura è metal purosangue, quindi nell’accezione più classica del termine, ma i risultati sono quantomeno inconsueti. Non mancano infatti spunti stilistici meno prevedibili (il saliscendi sempre metallico e parecchio eccentrico di “Pale Faced God”), anche quando ascolti “Blood Ritual” non può non riaffiorare alla mente il miglior metal di marca ’80, quello che mescolava con astuzia ritmiche speed, umore sulfureo à la Sabbath (“Outrun The Sun” sembra cantata da Ozzy) e accentuata virulenza slayeriana. Se ancora non s’era capito, qui non si scherza affatto: il quartetto gioca con micce pericolosissime (“Alpha-Omega” è un carro armato che definire schiacciasassi è dir poco e ha un drumming spaventoso). Punto basso e interlocutorio invece “Your Name Is Madness”, una traccia troppo ibrida, a metà tra una ballata e qualcos’altro, che non fa onore a una band che il fatto suo lo sa eccome. Tra l’altro notevole la grafica della copertina (non se ne vedevano di cosi belle in ambiti come questo dalle vecchie grafiche della amata Earache).

A conti fatti un disco interessante, che solo all’apparenza sembra parte di un percorso ordinario affine ad altre band attive in questi anni, dato che, se ascoltato con attenzione, rivela insospettabili qualità nascoste.