NEGATIVLAND, 1/10/2016

Bologna, Freakout.

“You can imagine the end of the world, but you can’t imagine the end of capitalism”. Il live dei Negativland è una specie di audio giornale della modernità 2.0 (ma nemmeno così tanto) in salsa video-californiana: il totem-tv ci racconta di autostrade nel nulla, ripetizioni, siamo tutti contenuto, cibo, altre autostrade, data center, iperrealtà in punta di forchetta, ripetizioni, data center, login, e di nuovo dall’inizio, in un accatastarsi di detriti nel grande flusso indistinto. Ma alla fine, cosa resta? Non molto.

Il set: pedali, tanti, una batteria elettronica (a orecchio e ad occhio) vecchiotta, una tastieraccia, un paio di iPad, altri effetti, smartphone e un Mac per la parte video.

L’inizio è ansiogeno, potente, seppure un poco scontato: “Questa è un’assemblea non autorizzata”, avverte una voce in american-english; poi sirene, ritmo che incalza, sale e poi però non muta, non prende forma e non la perde neppure. I pezzi, sebbene non improvvisati, a volte suonano come un ammasso di spunti non bene organizzati. Coi Negativland si va a fare un giro in discarica, a rovistare tra le frattaglie del Grande Animale Mondiale. Il problema è che ciò che incontriamo nei cassonetti aperti, sotto le lamiere, è un caos con la lettera minuscola, troppo poco perturbante, a suo modo prevedibile.

Svisate di tastiera, swish e swoosh di pedalini come bimbi sull’altalena, voci da speaker tv, news e pubblicità, un tempo masticato da qualche aggeggio, e il blob è servito sul piatto. In alcuni momenti l’effetto è molto buono, ma la noia subentra presto e non aiutano i video, didascalici e su stesure in brutta di discorsi (meta)musicali calligrafici. Si resta a metà del guado: niente picchi noise, niente ipnosi in loop. Restiamo lontani dalle folli eppure classiche orchestrazioni per cd-player del David Shea su Tzadik o dalla sontuosa sampledelia di “Whoops, I’m An indian” di Hal Willner. Niente ammiccamenti come nel miglior mash-up.

Grande, grandissima stima per i Negativland, tanto che mi sono sparato da solo 120 km tra andata e ritorno sotto la pioggia per intercettarli. Plagiarismo, plunderphonics, la disputa contro il Golia U2, questi Davide della ricombinazione sonora arrivavano in Italia per la prima volta, e non si sapeva bene cosa sarebbe accaduto. Io forse mi aspettavo altro, o troppo. Rapidamente la curiosità e l’emozione per essere tra i (non molti) presenti ad assistere al live di un collettivo che ha fatto storia lasciano il posto ai dubbi e a una lieve nausea da zapping. Dopo mille messaggi veicolati nel corso di un set che non brilla per dinamiche ed architettura, decido di battere in ritirata durante un audio-servizio su Playboy, perfettamente americano e perfettamente prevedibile e forse fuori tempo massimo.

Tra pochi giorni esce il nuovo film di Werner Herzog, “Lo & Behold”, su Internet e su questo mondo ultra-connesso: ho il sospetto che alle mie orecchie e ai miei occhi “suonerà” di più del live di stasera…