MUMAKIL, Flies Will Starve

Mumakil

Spesso e volentieri viene da chiedersi come mai le label più grandi mettano sotto contratto alcune tra le band meno valide in circolazione. Un classico esempio è quello della Relapse Records, che alcuni anni fa decise di prendere sotto la propria ala gli svizzeri Mumakil. Nati nel 2004, prima di fare il grande salto avevano all’attivo un demo, un ep e un disco (Customized Warfare). Si trattava di materiale carino, ma di sicuro niente che facesse gridare al miracolo. Dopo avergli chiesto di fare uno split con gli Inhume per la Slimewave Series (una serie di split 7” tra diverse band, le cui copertine, se unite, avrebbero ricomposto la figura di un feto tagliuzzato), nel 2009 l’etichetta americana decise di produrgli il secondo full length, Behold The Failure, mediocre tanto quanto il primo. Da allora dei Mumakil non si seppe più niente, fino all’arrivo di quest’ultimo Flies Will Starve.

La proposta musicale non è cambiata di una virgola rispetto ai precedenti lavori: grind sulla scia dei secondi Napalm Death, a occhio e croce vicino ai loro lavori degli anni Zero più che a quelli dei Novanta (“Order Of The Leech” e “The Code is Red… Long Live The Code” su tutti), ma con una componente hardcore ridotta all’osso. Le parti di batteria sono quasi solo fisse sui blastbeats e a volte si alternano con dei brevi stacchi di doppio pedale. Nonostante i Mumakil amino definirsi come “blastcore”, il drumming non è né particolarmente incisivo, né particolarmente veloce. La voce è una via di mezzo tra un growl alla Barney Greenway e un cantato hc moderno, simile anche a quella di diverse formazioni death svedesi (nuova scuola), mentre i suoni delle chitarre sono prodotti come in tantissimi dischi del genere che abbiamo già sentito, quindi non brillano quanto a personalità. Avrete insomma già capito che abbiamo ancora di fronte un disco mediocre, che non offre nulla di particolarmente interessante a ogni tipo di ascoltatore, sia a quello esperto sia al principiante. Il prossimo anno il gruppo svizzero festeggerà il suo decimo anniversario, ma questo è lungi da essere l’album della maturazione, quello che dimostra lo spessore di una carriera di tutto rispetto. È al contrario il classico lavoro monotono, non c’è bisogno di arrivare alla fine della prima canzone per capire dove si andrà a parare: non lascia alcuna traccia dopo il trentesimo secondo, figuriamoci dopo (in un genere che, a volte, non ha bisogno di così tanto tempo per brillare).

La Relapse Records è senz’ombra di dubbio una label di tutto rispetto, ma viene da chiedersi come mai, se è così concentrata sul mercato americano, si sia lasciata sfuggire dei giganti come Insect Warfare e PLF, non esitando a guardare quello europeo quando sono spuntati fuori i Mumakil. Le mosche qui dovrebbero morire di fame, invece sembra che abbiano trovato proprio il pane per i loro denti.