MAURIZIO ABATE / ALBERTO BOCCARDI, Superficie

MAURIZIO ABATE / ALBERTO BOCCARDI, Superficie

Sulla Superficie s’incontrano due musicisti che apprezziamo da sempre: Alberto Boccardi, sound artist, e Maurizio Abate, chitarrista. Boccardi, a differenza di molti italiani che si muovono nel suo stesso ambito, ha la volontà ferma di evolversi e trovare nuove strade, mi basta pensare a Fingers, un disco che mi ha messo in difficoltà, sia in senso buono, sia a volte in senso cattivo. Abate è capace di album acustici meravigliosi, ma, se si approfondisce, si vede come anche lui non sia uno a cui piace la routine. La collaborazione si è svolta a gennaio 2015 durante una sessione in studio di sei giorni, rimaneggiata nei mesi successivi con l’aiuto di Gianmaria Aprile (Fratto9, Luminance Ratio): Boccardi gestiva le percussioni e la parte elettronica (synth analogici compresi), Abate la chitarra elettrica.

Sulla Superficie emergono molte suggestioni, intrecciate: una di queste potrebbe essere il ritorno a ciò che non è digitale, ma non dogmaticamente, tant’è vero che certe increspature ritmiche fanno venire in mente il glitch; un altro “tema” potrebbe essere quello dell’esplorazione del materico e dell’ambiente fisico circostante, specie se si ascolta “Bevels”, ma non solo (c’entra l’appartenenza di Alberto all’Archivio Italiano Paesaggi Sonori? Secondo me sì); l’improvvisazione e la reinvenzione di uno strumento (ma dovrei studiarmela meglio); lo sfruttamento del silenzio e all’opposto della forza del suono crudo, tanto che vorrei spiegarmi facendo un paragone col Vainio solista, ma non stiamo parlando della stessa violenza, anche se le atmosfere sono spesso cupe come le sue.

Mi sembra che Abate e Boccardi abbiano cercato l’essenzialità e ci stiano chiedendo di soffermarci ad ascoltare un singolo evento “acustico” (o una singola sequenza di eventi) al buio, puntandoci un fascio di luce sopra per farcelo apprezzare per nella sua bruta semplicità e nella sua purezza. Superficie, per fare un esempio stupido ma chiarificatore, non è però un album con un drone di dieci minuti per traccia, perché non mancano componenti o fasi puntute e scabre, come se il prezzo da pagare per un’esperienza d’ascolto contemplativa fosse il passaggio per territori inospitali. Dunque la bellezza di certi momenti è tale anche per contrasto.

Non so cosa farete (o avete fatto) voi, ma io ho dovuto lasciarlo crescere: questo è il mio consiglio.