LUCIANO CHESSA

Luciano Chessa

Uno dei motivi che mi ha spinto a porre una manciata di domande a Luciano Chessa è stata la curiosità di capire perché un musicista che pubblica brani di un certo tipo (partendo da una selezione di composizioni del passato) si prodighi poi per studiare e diffondere il verbo di Luigi Russolo (lo scorso anno s’è celebrato il centesimo anno dell’uscita del famoso manifesto “L’Arte Dei Rumori”). Dunque dalle pratiche rock (musica di per sé più o meno “rumorosa”) si parte e al “rumore” si arriva, viene da pensare, in fondo la musica popular (che per definizione è mare magnum dove i “generi” si sviluppano e s’intrecciano) altro non è che la diretta conseguenza di quei suoni primigeni, e Chessa lo sa bene. In questa occasione possono quindi essere utili le parole e le idee dello studioso e musicista trapiantato in California. Per intanto il consiglio è quello di ascoltare i suoi dischi solisti, e poi di approfondire la sua conoscenza passando anche per gli altri lavori, incominciando a ragionare su che cosa è “rumore” e cosa non lo è per voi. Buona lettura.

Ciao Luciano, una domanda a bruciapelo: ti manca l’Italia?

Luciano Chessa: L’Italia che conoscevo? Quella degli anni Settanta, Ottanta e inizio Novanta? Sì, mi manca.

Parliamo delle tue carriere, quella diciamo più “accademica” e quella strettamente “musicale”. Mi pare di capire che esprimono due lati speculari della tua vita. Per semplificare: quello dell’insegnamento, legato anche al concetto di “rumore” (in particolare gli studi su Luigi Russolo), e quello più incline al pop, vicino a un linguaggio più semplice che è il rock and roll (parlo dei dischi Peyrano e Entomologia, ma il vero esordio è con Humus nel lontano 1997). Come si conciliano queste due anime?

Queste due anime, affatto speculari e complementari, si sono susseguite, rincorse. I brani di Peyrano e quelli del recente disco di outtakes e live versions appena uscito, Entomologia, sono stati scritti, eseguiti e registrati tra il 1988 e il 1997. Ma ho scoperto il Futurismo e Stravinskij, e poi Cage e Bussotti, da bambino, studiando pianoforte con l’inestimabile Gisella Frontero. Ho scoperto la musica pop sui sedici/diciassette anni tramite mia sorella e in particolare una sua amica, Vanessa, che intorno al 1984 ascoltava cose indie-pop tipo The Cure, The Smiths, Stray Cats, e che un bel giorno mi fece ascoltare “Close To Me” e “Ask Me” al telefono (iniziai a suonare la chitarra, a scrivere canzoni e a formare gruppi come diretta conseguenza di questa conversazione telefonica).
Il trasferimento in California ha interrotto questa fase cantautorale per la semplice ragione che io le canzoni le ho sempre scritte e cantate in italiano, e lì sapevo che non avrei potuto trovare un pubblico capace di recepirle. Senza contare che i primi anni del dottorato di ricerca sono stati davvero duri, e non si sottovaluti il tempo d’apprendimento di una lingua e di una cultura straniere. Nel corso dell’anno passato, con le ristampe, e soprattutto l’incoraggiamento di Lapo della Skank Bloc Records, ho riprovato a scrivere canzoni (per ora una sola, “Sul Viale Delle Olimpiadi”, che è in Entomologia, stesa l’anno scorso a Berkeley su un mio testo del 1998, scritto quindi alla vigilia della mia partenza per la California). Questo pezzo rappresenta una riconciliazione di queste due anime. Ora medito un nuovo disco di canzoni in cui fare ampio uso dei dispositivi rumoristi che utilizzo da anni e con cui ho già registrato (il Dan Bau vietnamita, la sega, eccetera), oltre che avere collaboratori come Ellen Fullman, Theresa Wong, Christine Morse, Maggy Kammerer, musicisti principalmente attivi nel mondo della musica contemporanea, ma interessati come me alla forma canzone.

A proposito di “rumore”. Per me è anche quel modo di intendere la musica rock nelle sue numerose varianti, vedi l’uso che fai dei volumi e dei feedback nei pezzi dei dischi solisti, per esempio. Sei d’accordo?

Assolutamente sì! E di certe canzoni (per esempio “Carpe”) negli anni Novanta già ne feci versioni da camera decisamente ispirate a sound envelopes “intonarumoriste”, in cui cioè riproducevo/trascrivevo i feedback tramite archi suonati in maniera non ortodossa e un po’ “russoliana” (un disco con queste versioni e altro materiale da camera è pronto, ed in uscita in autunno, col titolo Petrolio, per Stradivarius/Milano Dischi).

Luciano Chessa

Ho letto con interesse un’intervista sul magazine d’arte contemporanea Artribune, dove racconti di come hai portato avanti il progetto sugli intonarumori. L’articolo va nel profondo del discorso e verte proprio sul tuo lavoro, “The Orchestra Of Futurist Noise Intoners” uscito per la Sub Rosa, cercando di evidenziare la passione e gli studi verso questa forma di espressione musicale. Sei contento dei risultati ottenuti con questa pubblicazione?

Assolutamente! Quel doppio lp per Sub Rosa è il coronamento di anni di attività di ricerca, compositiva e curatoriale a dir poco febbrili. Pensa che comprende solo una metà del materiale che abbiamo commissionato: sono rimasti fuori per tutta una serie di questioni logistico-organizzative molti pezzi imperdibili (per esempio brani di Lee Ranaldo, Joan La Barbara, Elliott Sharp, John Butcher e anche due altri pezzi di Blixa Bargeld…). Stiamo già programmando altre sessioni di registrazione, per cui un disco contenente questi brani uscirà forse già nel 2015.

So che sei un giramondo. Mi dici perché hai deciso di lasciare prima la Sardegna (e poi Bologna) per provare nuove esperienze, anche al di là dell’Oceano?

Per un misto di curiosità e amore.

Mi piacerebbe sapere con che tipo di musica sei cresciuto, e se ci sono degli artisti che secondo te vale la pena seguire con attenzione.

Musica con cui sono cresciuto, in ordine pressoché sparso: Sylvano Bussotti, John Cage, Giacinto Scelsi, Igor Stravinskij, Robert Schumann, Claude Debussy, Erik Satie, Gisella Frontero, i primi Pink Floyd, The Smiths, Joy Division, The Jesus And Mary Chain, Gong, Donovan, Pentangle, Pixies, The Roots.
Artisti da seguire invece, sempre in ordine sparso: Michael Maierhof, Ellen Fullman, Joan La Barbara, Sylvano Bussotti, Alvin Curran, Chris Newman, Jacob TV, Julius Eastman, Frederic Rzewski, Kyle Gann…: la lista corre il rischio di essere lunghissima!

Un’altra curiosità. Come ti trovi con la Skank Bloc Records di Lapo Boschi? La sua è un’etichetta piuttosto piccola e con all’attivo poche uscite discografiche.

Meravigliosamente bene. Le uscite non sono tante ma neppure poche, se consideri che è praticamente neonata.

Hai ancora intenzione di comporre pezzi simili a quelli pubblicati su Entomologia, o ti concentrerai solo sulle uscite legate ai tuoi studi?

Sì, questa è l’intenzione. Il prossimo lavoro sarà un disco di canzoni, come dicevo sopra, ma scritto e arrangiato con l’idea di riconciliare le mie due “anime”.