LUBOMYR MELNYK, 5/3/2016

LUBOMYR MELNYK, 5/3/2016, foto di Antonio Rasi Caldogno

Venezia, Spazio Aereo. Ringraziamo per la foto Antonio Rasi Caldogno.

“Music is an uncompromising teacher to whom you must show respect, devotion and humility. If not, it seems that Music will instantly stop having any interest into teaching you anything”. Me lo ha detto qualche giorno fa Antoine Hadjioannou, batterista degli Aluk Todolo. Per questo, stasera, in presenza di uno come Lubomyr Melnyk, che ha vissuto suonando e per suonare, lo Spazio Aereo mette al centro di tutto un pianoforte, dispone sedie intorno ad esso per farci stare composti, impone lo spegnimento dei telefoni cellulari e chiude il bar per tutta la durata del concerto. Si tratta di una forma di rispetto dovuta a un uomo di quasi settant’anni, dai modi gentili, desideroso di spiegare ciò che fa col suo inglese perfettamente scandito e di diffondere il suo punto di vista sulla musica e sulla vita. Qualcuno che ha pagato anche con la salute l’incomprensione dell’establishment culturale e solo da pochi anni ha ricevuto i riconoscimenti che meritava.

L’ho conosciuto solo nel 2011 grazie a un’etichetta underground come la svizzera Hinterzimmer (Rashomon, Chatham, Tazartès, Ural Umbo in catalogo), che lo presentava come un artista che andava tolto dall’ombra di minimalisti come Reich e Riley, nonostante lui per primo ammettesse la loro influenza determinante sul suo lavoro, in quanto in realtà “massimalista” (“minimalismo massimalista”, curiosamente, è anche una definizione usata per Irisarri, da poco passato per Spazio Aereo). Massimalista, in effetti, si adatta bene alla sua invenzione, la “Continuous Music”: un flusso veloce, interminabile e ininterrotto di suono, ipnotico eppure in divenire, non dissimile concettualmente da quello degli ultimi Aluk Todolo (da qui la mia idea di citarli all’inizio), con la differenza che le sue melodie così sincere e accessibili hanno convinto Erased Tapes (Frahm, Broderick…) a pubblicarlo e a regalare finalmente ai suoi dischi una platea più ampia. Una breve precisazione: la tecnica di Melnyk lo rende, secondo la stampa, “il pianista più veloce del mondo”, stratagemma ideale per fare i titoli dei giornali, ma che lo riduce a una specie di “Elephant Man” (la gente ha sempre bisogno di un “Elephant Man” per voltarsi a guardare). Stasera però non siamo affatto al circo, maledetti.

Comincio dalla fine, dalla fatica di “Windmills”, una delle sue opere maggiori più recenti, con la quale fa passare decine di minuti in un attimo. Il mulino, che si mette in moto con le ottave più basse, suonate in modo da sembrare un meccanismo in azione, conduce una lunga esistenza, resistendo alle intemperie e all’usura del tempo, finché non viene abbattuto da una tempesta. Sale però verso il cielo con un corrispondente crescendo nell’altezza dei suoni. In realtà il mulino è l’uomo, che si trova ad affrontare le avversità della vita, ma che deve – secondo Melnyk – essere grato di aver potuto starsene sulla collina a godere della bellezza del mondo. “Windmills” è realizzato con due pianoforti: il compositore ci racconta che – poiché non ha discepoli ai quali trasmettere la sua tecnica – è costretto a registrarsi e a suonare live con il suo doppio, come accade stasera anche nel caso di “Butterfly”, brano che assieme all’iniziale “Illorium” rivela subito la bellezza delle sue melodie. Tra questi due episodi e la chiusura c’è spazio per “I Love You”, creazione sui generis (almeno per i suoi canoni), nella quale ricorre alla voce di Mionia, pianista e cantautrice lettone che lo accompagna in tour, aprendo per lui.

Dopo la data di Milano del giorno prima, i social si erano riempiti dei commenti entusiasti di addetti ai lavori e dei musicisti. Partivo dunque ben disposto nei suoi confronti (devo aggiungere che a rendermi ricettivo sono state di certo anche l’umanità mostrata stasera e la sua storia difficile) e non sono rimasto deluso, anche perché si è capito dell’importanza rivestita da una sua performance live, durante la quale mette alla prova il suo fisico e la sua mente e sorprende tutti coi movimenti incessanti, magici delle sue mani.

I posti a sedere in sala erano tutti occupati, segno che lo staff di Spazio Aereo ha fatto di nuovo un buon lavoro. Di certo sia Lubomyr Melnyk, sia altri artisti più pop di Erased Tapes, sono potenzialmente in grado di attirare un numero consistente di persone, perché riescono a parlare spesso in modo semplice al pubblico. Però è altrettanto vero che in Italia non hanno passaggi radiofonici, copertine, nemmeno poi così tanta attenzione dalle webzine, e qui è stata la bravura di questo Circolo Arci: diventare un posto di cui molti si fidano.