LEE RANALDO, Between The Times And The Tides

Between The Times And The Tides

I Sonici si fanno sempre riconoscere, non c’è nulla da fare. Quando uno ha nel sangue il talento, la classe, il guizzo, la personalità, il suono, non ci sono dati anagrafici o capelli brizzolati di sorta che tengano. I Sonic Youth si trovano in questo momento in una sorta di limbo: Thurston e Kim hanno esaurito il loro grande amore, e un’altra nostra certezza ci è crollata addosso di colpo. Dunque, non si sa bene come e se andranno avanti. Nel frattempo, però, Lee Ranaldo sembra aver colto la palla al balzo, mettendo su un disco che non solo è migliore delle ultime (comunque buone, intendiamoci) due prove della band newyorkese, ma è fresco, brillante, meravigliosamente scritto e suonato.

Lee è sempre stato uno serio: silenzioso ma non per questo in ombra, forse solo meno carismatico del compagno Moore, col quale ha creato un binomio chitarristico inscindibile solo sulla carta, visto che già dalla seconda metà degli anni Ottanta si cimentava con lavori in solitaria. Ovvio e scontato menzionare l’immenso contributo compositivo dato ai Sonic Youth, sempre in bilico tra rumorose sfuriate e paesaggi cristallini (qualcuno, banalmente, ricorda una certa “Karen Revisited”?), elementi chiave che ritroviamo sfruttati alla massima potenza pure in questo Between The Times And The Tides, disco d’impressionante forza melodica e chitarristica. E, in un certo senso, anche d’impressionante urgenza espressiva, aspetto che difficilmente si tira in ballo quando l’autore conta ben cinquantasei primavere.

Si comincia con “Waiting On A Dream”, un velato omaggio a “Paint It Black” nell’intro che poi si apre a una cavalcata psichedelica dai colori noise. Segue, poi, il singolo “Off The Wall”, pezzo power pop all’ennesima potenza, piccolo capolavoro di chiara scuola R.E.M. che va a braccetto con l’altrettanto riuscita “Lost (Plane T Nice)”: linea melodica sopraffina, intrecci elettroacustici da inchino immediato. “Xtina As I Knew Her”, con i suoi sette minuti, ha una forte sonicità, forse un po’ tradita dalla limpidezza del ritornello, piuttosto orecchiabile. “Angles” e “Fire Islands (Phases)” sono invece la coppia “classic rock” (tra mille virgolette) del lotto: la prima, per il suo incedere che rimanda sempre ai R.E.M. meno canonici e per i suoi inserti d’organo Hammond; la seconda, è una “All Along The Watchtower” hendrixiana intesa da uno che mastica rumore da tre decenni e passa. Intimi e intensi i personalissimi episodi acustici “Stranded” e “Hammer Blows”, di scarna matrice folk, che mettono in chiaro tanto la versatilità del Ranaldo strumentista quanto quella del Ranaldo autore. Conclude il tutto un’altra chicca psych, “Tomorrow Never Comes”, chiara eco a un brano beatlesiano dal titolo assai simile, che si spera non ci sia bisogno di citare.

Che dire: un piccolo miracolo. Una graditissima sorpresa. Un gioiello, da fare invidia a fin troppi venticinquenni odierni. Belle melodie, chitarre e ancora chitarre, poco importa se più o meno rumorose. E, come se non bastasse la perfezione di Lee Ranaldo, qui interviene pure un altro mago della sei corde come Nels Cline (Wilco).

Un disco che difficilmente uscirà dalle nostre orecchie, dai nostri lettori e dalle classifiche di fine anno, che già in questi giorni stanno prendendo forma. Chapeau.

Tracklist

01. Waiting On A Dream
02. Off The Wall
03. Xtina As I Knew Her
04. Angles
05. Hammer Blows
06. Fire Islands (Phases)
07. Lost (Plane T Nice)
08. Shouts
09. Stranded
10. Tomorrow Never Comes