LE CAROGNE, Triodo

Le Carogne pubblicano il terzo album grazie allo sforzo sinergico di quattro etichette. In questo Triodo sono racchiusi nove pezzi d’ispirazione 60’s rock cantati in italiano e per recensirlo, invogliato dal bel tempo giunto in anticipo sulla primavera, ho optato di spararmelo solo ed esclusivamente in macchina. Pensavo mi sarei gasato un mondo, viaggiando per lavoro e gironzolando in città, con Le Carogne a tutto volume, il finestrino totalmente abbassato e il vento nei capelli, ma qualcosa è andato storto.

Questa è una band di tutto rispetto e i pezzi sono carini, tra Seeds, Remains e Count Five con cinquant’anni in meno, ottimi per fare baldoria e scatenarsi un po’. Inoltre, l’album è suonato e registrato piuttosto bene, ma è cantato da cani. Forse per la scelta della madrelingua? Non solo. Generalmente la decisione di scrivere testi in italiano, che sicuramente rispetto, ma per la quale non opterei mai nemmeno sotto tortura, è dettata da due motivi principali: conoscenza unicamente della nostra lingua, che di fatto preclude ogni possibile alternativa, oppure volontà di cantare proprio come si mangia, rimanendo perciò nella tradizione. Escludendo la prima ipotesi per motivi che vi saranno chiari a breve, resterebbe da capire se la scelta tradizionalista è stata dettata da una presunta facilità di comunicazione con l’audience o da una presunta facilità nell’arrangiamento. Comunque, è certo che Le Carogne non cantano come mangiano, perché in Liguria si mangia bene un bel po’.  Quello che non capisco è come mai il buon Riccardo, che fa un ottimo lavoro con synth, organo ed ammennicoli vari, e che, oltretutto, ha dipinto con le sue benedette mani la bellissima copertina dell’album, abbia deciso di cimentarsi al microfono con dei testi un po’ banali e arrangiati male, al punto da sembrare presi in affitto da una Oi! band e cuciti a forza su un genere piuttosto differente. Se Le Carogne non avessero avuto intenzione di cantare in altra lingua, avrebbero potuto almeno realizzare pezzi prettamente strumentali, anche considerando le buone capacità compositive che evidentemente possiedono. E invece no, italiano e male, porcomondo!

La prova di quanto sostengo è contenuta nell’album stesso. Infatti, mi sembra che il punto più alto di Triodo sia la traccia di chiusura, prevalentemente cantata in inglese,  guarda caso, da una guest singer molto più a suo agio davanti al microfono rispetto alla Carogna di ruolo. Un pezzo decisamente ben riuscito se non fosse per le parti in italiano, riguarda caso, non cantate dalla guest singer. Alla luce dei ripetuti ascolti e delle considerazioni fin qui fatte, avrei un suggerimento per i prossimi lavori: arruolatela in pianta stabile!