ILSA, The Felon’s Claw

ILSA, The Felon’s Claw

A distanza di due anni dal loro ultimo disco, ritornano gli Ilsa, uno dei gruppi sludge americani più promettenti degli ultimi tempi. Li avevamo lasciati nel 2012 col molto convincente Intoxications, che dimostrava come il gruppo riuscisse a tirar fuori un buon prodotto in un genere che recentemente non riesce più a brillare come un tempo, ormai condannato a perire dell’hipsterismo di mille cloni dei grandi maestri, oltre che di divagazioni “post” francamente evitabili. Con questo The Felon’s Claw, la band di Washington vuole portare avanti il discorso iniziato coi due precedenti lavori, incidendo di più sulla componente hardcore del proprio sound e bisogna dire che, grazie a una produzione di gran lunga migliore e a un songwriting più versatile, i dieci nuovi brani appaiono molto ben riusciti. A differenza di quanto fatto in passato, c’è la voglia di premere un po’ di più sull’acceleratore, evidente nell’ottima apertura “Oubliette” e in “Armstrong’s Mixture”, un incrocio tra i migliori Weekend Nachos e gli Entombed di Wolverine Blues (le chitarre sono imbevute del sound di quel disco). Se una volta gli Ilsa preferivano uno stile basato sull’oscurità e sulla fangosa lentezza, questa volta regnano sovrani pezzi più cadenzati che possono scatenare un mosh non indifferente (vedi “Pandolpho”). Non mancano però i rimandi a Coffins, Grief e – perchè no? – anche agli Sleep in “Katabasis”. Unica pecca degna di nota: una copertina un po’ insipida, che non regge il confronto con le passate (penso a quella di Intoxications, bellissima e anche molto personale). L’etichetta che fa uscire il disco è ancora una volta la A389 Recordings, che tanto ha puntato su questa band, che a sua volta ha contribuito a renderla una delle realtà più interessanti del panorama statunitense.

Pollice su per gli Ilsa: con questa nuova fatica non fanno che confermare il loro ottimo stato di salute e anche una discreta personalità, che forse un giorno li porterà a una popolarità maggiore. The Felon’s Claw può piacere anche a chi il genere non lo sente giorno e notte e a chi forse neanche lo apprezza più di tanto. Non è un disco eccezionale, ma è comunque ben riuscito, probabilmente il miglior prodotto del gruppo americano.