HOUR OF PENANCE, Regicide

HOUR OF PENANCE

L’immagine forte di copertina cala con immediatezza l’ascoltatore all’interno del progetto tematico di Regicide. L’Italia in ginocchio, la sua stessa spada conficcata proditoriamente nella schiena, il braccio sinistro spezzato. Un’altra corona le viene offerta – ma è di spine – dal corrotto vescovo di Roma, a simboleggiare la situazione precaria di uno Stato che ha smarrito la propria identità, violentato dalla commistione e connivenza perniciose di poteri religiosi e politici.

Il technical death metal degli Hour Of Penance è ragionato e non caotico, controllato e non dispersivo, contraddistinto da un dettato ritmico stratificato e da un growling scandito e intellegibile. Le prime tracce dell’album, “Reforging The Crowns”, “Resurgence Of The Empire” e “Desecrated Souls”, energiche e dall’ampio registro melodico, mettono subito in evidenza il palese richiamo all’heavy metal più tradizionale, soprattutto nella scelta dei riff introduttivi, che scemano in seguito in un susseguirsi frenetico di bordate sottolineate da un drumming puntuale e preciso. Se la parte iniziale dell’album indulge su tempi piuttosto sostenuti (con la splendida “Sealed Into Ecstasy”, introdotta da canti gregoriani, a fungere da spartiacque), sul finale si assiste (con “Redeemer of Atrocity”, “The Sun Worship”e “Regicide”) a un progressivo ma riuscito connubio di rallentamento e accelerazione dei tempi ritmici, che accresce l’epica maestosità della proposta del gruppo.

La produzione non si può certo definire fredda o peggio plastificata, risulta invece nitida senza apparire artificiosa e pone in giusto risalto gli sforzi compositivi di una band che progredisce di album in album senza strafare o riuscire di difficile assimilazione.

Un passo in avanti notevole rispetto al precedente, già valido, Sedition.

Monumento all'Italia - Piazza Italia - Reggio Calabria - foto di Olivier Duquesne