HOD, Book Of The Worm

HOD

A distanza di cinque anni dal debutto Serpent, i texani Hod, fautori di un black metal dalle forti contaminazioni thrash e death, sono tornati con il loro secondo album consapevoli di aver accumulato un numero consistente di seguaci in ambito underground, questo dopo una dura gavetta e un rodaggio concertistico intenso. Book Of The Worm sembra essere lo sviluppo logico del materiale precedente, con la netta differenziazione rappresentata dal maggior dinamismo nel giostrare riff e da tempi di batteria accelerati. Occorre di sicuro dimenticare le iperproduzioni e i tecnicismi inutili, ma comunque ci troviamo di fronte a un estremismo sonoro solo in apparenza sgraziato e superficiale, dato ch le sfumature intriganti sono molte pur nel contesto di un disco realizzato con un’attitudine “da presa diretta”.

Un suono cupo e minaccioso avvolge la ritmica ruvida e articolata dell’iniziale “When The Ghouls Feed”, brano sincopato e coinvolgente, ossessivo nelle sue ondate continue di chitarra granulosa e nei vocalizzi bestiali. La diretta “Den Of Wolves” si allinea alle coordinate stilistiche del death metal classico, anche se viene attraversata da variazioni solistiche significative che gli danno respiro e si chiude poi con un crescendo molto impattante. Furiosa e cieca nel suo percorso d’odio è “I Am Destroyer”, canzone velocissima che trasuda nera malignità e apre il varco alla cadenzata “Through The Gates (They Come For Me)”, seviziata nel suo prosieguo da assolo dissonanti di chiara ispirazione slayeriana. Il black metal di “Death Whores” travolge tutto e viene solo in parte rallentato da un break centrale serrato ed evocativo, mentre “Under Tyranny’s Hammer” è la traccia dell’album che racchiude in sé la summa delle molteplici influenze degli Hod, un concentrato di pura violenza thrash attraversato da una scheggia impazzita di death oltranzista. Il disco prosegue omogeneo e privo di cali qualitativi sensibili fino al suo epilogo, costituito dalla tirata “Where  Are The Demons” e dall’ipnotica “Beneath The Mountains Of The Scorpion”, edificata su di un riff granitico di chitarra.

Book Of The Worm è da gustare tutto d’un fiato, piacevole per la patina old school che lo permea e la spontaneità che lo caratterizza. Con questa prova gli Hod sono pronti a spiccare il salto di qualità definitivo.

P.S.: piccola curiosità finale, il nome del gruppo non è un acronimo ma l’anglicizzazione di Höðr,personaggio della mitologia norrena.