High On Riffs II

HIGH ON RIFFS II

1/3/2013 – Senigallia, Circolo MTJ CASPER.

Secondo appuntamento con l’High On Riffs, un festival nato per dare spazio a realtà mutanti nate in seno alla scena doom/stoner e in grado di offrire un bill oltremodo eterogeneo e differenziato, seppure in qualche modo collegato a un background similare.

A inaugurare la serata sono i Reefer Masters, parenti stretti di South Hell e Orange Blossom Jam, sempre più a loro agio nel dar forma a una visione sonora che parte dallo stoner per incorporare aperture psichedeliche e lunghe divagazioni strumentali, con il deserto come patria d’adozione. Forti delle proprie capacità tecniche e dell’essere partner rodati nelle altre formazioni che li vedono coinvolti, i Reefer Masters non faticano a conquistare il favore dei presenti e dimostrano come il passare del tempo abbia contribuito non poco alla riuscita di un progetto parallelo, ormai degno di attenzione e perfettamente in grado di reggersi sulle sue sue gambe. Proiezioni in tema e sala buia aumentano l’effetto trip del set e rafforzano l’impatto straniante di questo psych-stoner fumoso e lisergico.

Dopo di loro, gli aquilani The Whirlings si vedono costretti a reinventare il proprio approccio causa la mancanza di un chitarrista, una condizione che cambia gli equilibri ma non inficia la riuscita di un concerto che alterna estratti dal loro primo ep e nuove composizioni. Anche qui siamo di fronte a una scrittura che lambisce stoner e psichedelia, cui sovrappone una solida impronta post-rock per dar vita a lunghe cavalcate strumentali in bilico tra mood differenti eppure dotate di evidente personalità. Di certo si tratta di un gruppo meritevole di attenzione e su di cui varrà la pena tornare in maniera più approfondita. L’impressione è quella di trovarsi di fronte a una serata che non prevede gregari veri e propri, ma quattro realtà in grado di colpire l’interesse dei presenti, ciascuna a proprio modo, ciascuna con una propria interpretazione mai scontata.

Con i Tons (già protagonisti della nostra compilation) l’atmosfera si fa decisamente più pesante e i suoni si saturano a dovere, merito anche di un basso che ruggisce e graffia come un puma alla catena. Dalle lande stoner ci si trasferisce verso lidi doom dilaniati da una marcata attitudine sludge, in cui le vocals lottano per uscire dal magma di distorsione e la scrittura si slabbra fin quasi a strapparsi. Nulla da eccepire, le vibrazioni che salgono dal pavimento e saturano l’aria danno il senso della potenza di fuoco sprigionata dai Tons, a ribadire quanto di buono avevamo già avuto occasione di sentire in merito alle loro esibizioni live. Più che il deserto, qui a parlare sembrano essere le Everglades e le paludi degli Stati del Sud, con il fango che avvolge le gambe e rallenta la fuga, una sensazione niente affatto rassicurante, così come poco rassicurante è l’impossibilità di scorgere una luce oltre il buio. Se l’intenzione era quella di colpire i presenti per lasciarli esausti e doloranti, la missione non può che dirsi riuscita in pieno.

Ultimi a prendere posto davanti agli amplificatori sono i The Days Are Blood, strana entità nata dall’incontro tra due agitatori storici della scena locale, capaci di coprire un ampio spettro musicale con le loro rispettive attività presenti e passate: dall’hardcore allo stoner, dal metal alla sperimentazione di marca industrial e ambient, solo per citare alcuni linguaggi finiti nel loro radar. In questa occasione, il duo presenta anche la sua prima prova in studio, Domfote Receive 360.0 Vaaler, su cui ci ripromettiamo di tornare quanto prima in sede di recensione. Rispetto al materiale registrato, il set di oggi mette ancor più in risalto la centralità della batteria e il versante drone-doom del progetto, così da sottolineare l’inversione della ripartizione dei compiti messa in pratica dai The Days Are Blood: con la chitarra a disegnare lo scenario su cui l’elemento ritmico/percussivo crea in piena libertà con un approccio impro decisamente interessante. Il continuo sovrapporsi e interagire dei due musicisti, cui si affiancano basi audio e video, cattura l’attenzione dei presenti e rifugge il tipico brusio di sottofondo che spesso accompagna chi esce dalle righe e osa trame meno familiari.

Alla fine della serata, l’unico neo resta un’affluenza di pubblico sotto le aspettative, visto che le quattro realtà sul palco avrebbero meritato un locale ben più affollato. Ma al solito, spesso la pigrizia e il sovrapporsi di eventi impediscono che simili occasioni raccolgano quanto seminato. A parte questa doverosa annotazione, non si può che definire la seconda puntata dell’High On Riff un centro pieno, con la speranza di assistere presto a una terza, altrettanto ricca.