HEXIS, Abalam

Hexis

Abalam si apre con il crepitio prodotto da rivoli di suono fuso che si fanno strada e annunciano l’esplosione del fiume in piena, una bordata di note e rumore bianco che squarciano il silenzio e portano con loro una voce strozzata, soffocata dal nichilismo di un blackened-core dal taglio noise e dalle molte asperità, la via di mezzo perfetta tra Celeste e The Secret, che tra i due si incunea, aggiungendo una diversa sfumatura alla violenza iconoclasta delle nuove generazioni di estremisti sonori. Urla sofferte si scontrano con una barriera di rumore tanto fitta e caotica da offrire un contrasto perfetto, sempre che si riescano a distinguere i protagonisti dello scontro e non ci si lasci sovrastare dall’ondata che travolge ogni cosa e tramortisce chiunque incontra sul suo cammino. Ancora una volta è l’Europa a dare i natali a una formazione del genere e si potrebbe cominciare a parlare di una vera e propria convergenza di facinorosi, che passo dopo passo (chi legge queste righe dovrebbe aver già sentito parlare della band di Copenhagen) ha imposto una propria cifra stilistica ben precisa e un proprio blend peculiare, seppure – preme sottolinearlo – tra le formazioni qui nominate esistano delle differenze che un orecchio esperto dovrebbe saper cogliere. Resta il fatto che Abalam è un disco impressionante per cattiveria e mancanza di luce, come una pialla che passa e cancella i sorrisi dalle facce, una colata di lava che blocca gli ascoltatori e li lascia impietriti. Non siamo ancora al culmine, ne siamo sicuri, ma appare sempre più difficile immaginarsi una deriva più oltranzista per questo genere di sonorità. Per nostra fortuna, qualche decennio di ascolti ci dice che al peggio non c’è mai fine.