Gli Autonauti della Cosmopista (su e giù per l’Autostrada del Sole)

“Dedichiamo questa spedizione e la sua cronaca a tutti gli svitati del mondo”, scriveva Julio Cortázar all’inizio de “Los Autonautas de la Cosmopista”, cronaca magica dei 33 giorni trascorsi con la compagna a bordo del fedele pulmino Volkswagen nell’autunno del 1978 sul tratto di autostrada Parigi-Marsiglia, senza mai uscire.
Ora, in qualche maniera mi sarò sentito tirato in causa, in quanto svitato laureato, ed ho provato ad emulare, seppure in piccolo (del resto sono tempi minuscoli questi, senza epica) quell’impresa surreale di quarant’anni fa, e così all’inizio di aprile per tre volte in cinque giorni mi sono bevuto un po’ di chilometri lungo l’autostrada A1, verso Bologna, per andare a sentire in sequenza concerti che mi parevano imperdibili, e in parte lo sono stati.

Sun Ra Arkestra – San Lazzaro di Savena (Bo), Paradiso Jazz Club, 3/4/2017
The Heliocentrics – Bologna, Locomotiv, 6/4/2017
The Notwist – Bologna, Locomotiv, 8/4/2017

Sun Ra Arkestra

Si inizia con un amarcord: la Sun Ra Arkestra al Paradiso Jazz Club di San Lazzaro di Savena, una sala gigantesca che appena arrivati sembra proprio la hall dell’Overlook Hotel di Shining. Il pubblico è quello delle grandi occasioni e l’emozione è palpabile, scorgo diversi musicisti ai tavoli e quando finalmente, dopo molto tempo, gli orchestrali, bardati come da copione, salgono sul palco, l’attesa di qualcosa di magico ed ultraterreno vibra ancora nell’aria. Leader dell’Arkestra è Marshall Allen, che dall’alto dei suoi 92 anni dirige l’ensemble con piglio sicuro e divertito: complice anche la location (davvero potrebbe spuntare fuori Mr. Grady da un momento all’altro a servirci uno scotch), il suono dei dodici apostoli ha qualcosa di lievemente acido, allucinato e surreale, ed il beat pare sempre avere qualcosa di precario e leggermente storto, ubriaco, sebbene i momenti di anarchia siano più rari di quanto forse era lecito attendersi e loro percorrano orbite più rassicuranti e confortevoli. “Scrivere bop”, si intitolava il manuale di Kerouac, e l’uomo di Saturno aveva facilità di penna in questo senso (invenzioni spontanee, fughe, tempi larghi, prospettive inattese, creazioni selvagge): la sua orchestra ne prosegue il verbo, in una versione, per così dire, normalizzata. Come spesso nella grande musica nera (proprio così, Great Black Music, la chiamavano quegli altri colossi degli Art Ensemble of Chicago), assistiamo a una celebrazione, un inno alla gioia: i musicisti swingano di brutto, e pazienza se i momenti in cui Allen suona un flauto elettronico che imita le sonorità aliene di Sun Ra sembrano un poco forzati, o comunque non così pregnanti. La sezione fiati in un paio di occasioni scende dal palco per suonare in mezzo al pubblico; è di nuovo primavera, “It’s Springtime Again”, e quando il concerto finisce, sulle note di un gospel cosmico in cui piano piano gli strumenti tacciono per lasciare spazio al solo leader, siamo soddisfatti e gratificati per un concerto di certo non sorprendente, ma che comunque ci ha fatto entrare in contatto con la Storia e anche con la mitologia, oltre che con il nostro passato; perché siamo tutti Jack Torrance, e siamo sempre stati noi i custodi dell’Overlook Hotel, come diceva il gelido e composto Mr. Grady.

The Heliocentrics

Tre giorni dopo, a Bologna al Locomotiv, tocca agli Heliocentrics, e stavolta il viaggio profondo è assicurato, anche senza mitologia di contorno e senza coadiuvanti. Pura scienza del groove, atmosfere da fumeria d’oppio, funk che guarda ad Oriente, attraversare Abbey Road sulla bicicletta di Hoffmann, library music e un’attitudine aperta ed onnivora, una cantante affascinante e carismatica, dalla voce potente e sottile al tempo stesso, insomma un live durante il quale stare fermi vuol dire o essere sordi o non potersi proprio muovere. Gli Eliocentrici (che già nel nome pagano tributo alle peripezie pioneristiche di Herman Blount, l’uomo che veniva da un altro pianeta, basti pensare al leggendario disco The Heliocentric Worlds Of Sun Ra) non lasciano scampo con un concerto davvero travolgente in cui presentano in anteprima il nuovo disco A World Of Masks, che uscirà il 6 maggio per la Soundway.
Ed è proprio una lunga galleria di maschere colorate e dalle fogge più disparate quella in cui entriamo, un tunnel psichedelico in cui si alternano l’afa del funk più torrido e le brume del kraut, le nebulose lontane della psichedelia e gli spigoli rotondi del Canterbury sound (il violino che trova sempre melodie che sanno di fuga e lasciano sempre orme ammalianti), con un basso inesorabile che macina sornione mentre la batteria del leader Malcom Catto svisa leggera ed aerea, la voce della cantante disegna cerchi nell’aria e le tre chitarre producono una nebbia elettrica satura di wah wah.

Concerto fantastico, una vera e propria giungla in cui è pura vertigine perdersi, preceduto dalla notevole esibizione del giovanissimo duo Blue Lab Beats, felicemente a metà del guado tra hip-hop, neo-soul e jazz. Raffinati ma non patinati, melodici ma non sdolcinati, abilissimi strumentisti capaci di fermarsi giusto ad un passo dalle secche della fusion: ne sentiremo ancora parlare.

The Notwist

Dei Notwist invece, che si sono esibiti due giorni dopo, sabato 8 aprile, sempre al Locomotiv, sentiamo parlare da molti anni e giustamente. Il gruppo dei fratelli Acher, nel lontano 2002, fece il botto con Neon Golden e con un pugno di canzoni indimenticabili e perfette nel loro pencolare tra elettronica e indie-rock. Da allora una manciata di altri dischi sempre di buon livello e un’ottima resa dal vivo.

Memore di due esibizioni passate convincenti ed emozionanti e con la voglia ancora non sopita di riascoltare quei pezzi dal vivo, sono dunque andato a Bologna per la terza volta, restando però deluso: il concerto è stato infatti una fotocopia delle esibizioni viste in passato, e anche se ci sono stati alcuni momenti coinvolgenti, in generale la band è parsa un po’ troppo statica e seduta. Molto mestiere, nel bene e nel male, la voce indolente e fragile a intrufolarsi in melodie sbarazzine condite da robuste iniezioni di elettronica, una ricetta che il folto pubblico (la serata è sold out) sembra proprio gradire. Il vostro cronista, invece, un poco si annoia. A volte capita, fa parte del gioco, e poi è ora di imboccare di nuovo l’autostrada verso casa, la pianura senza orizzonte, i ponti degli architetti, i progetti che si fanno solo nella solitudine del silenzio per sfiorire poi domani, i camion come balene nelle spiagge degli autogrill, la notte italiana, le luci come titoli di coda, le luci come titoli di coda, le luci come titoli di.