FELICIA ATKINSON / DUCHAMP, Sculpture

FELICIA ATKINSON / DUCHAMP, Sculpture

Si chiama Sculpture, ed è l’introspettivo bassorilievo drone che unisce l’artista franco/belga/canadese Felicia Atkinson (Je Suis Le Petit Chevalier) e l’italiana DuChamp, che torna a farsi sentire dopo l’ottimo Nar (Boring Machines, 2013).

I 17 minuti e 17 secondi della Atkinson inquietano: cominciano alieni e siderali, terminano minacciosi e psichedelici. Restano comunque sempre offuscati da una forte carica di sonorità ethereal e drone, che mascherano rispettivamente la regia dell’oscura presenza ectoplasmatica che orchestra i momenti ansiosi e della fata turchina che invece gioca sulla componente dolciastra. Mi son chiesto se la ripetizione di quel numero, assai scaramantico dalle nostre parti, sia una coincidenza, oppure una cosa voluta.

DuChamp insiste e prosegue sulle stesse frequenze, accentuando i toni (inteso come sensazione di pesantezza, vedi le distorsioni, le aggressioni metalliche e quelle che sembrano apparire martellanti campane) e conferendo alle due tracce – tramite tutte le sfumature del colore nero (Felicia Atkinson ha preferito manipolare il proprio rosso fiammante) – formule magiche lacrimevoli e malinconiche, racchiuse e avvolte in una cappa nebbiosa, tetra e satura di disperazione.

Il fatto che lo split possieda una sua consequenzialità sonora, mi ha fatto subito pensare che anche le tracce della musicista italiana – come lo sono quelle della Atkinson – siano state ispirate dal film “Carrie” di Brian De Palma. Mi sbagliavo, hanno qualcosa di più intimo e doloroso, qualcosa che soltanto l’artista in questione può spiegare e sentire.