GIANLUCA FAVARON / ANACLETO VITOLO, Zolfo

zolfo

Nell’ambito cosiddetto sperimentale italiano continua l’abitudine intelligente di fare le cose insieme. Presumo grazie alla presenza di Vitolo, Favaron diventa meno impegnativo da ascoltare, nonostante continui a esplorare/raccogliere il suono del quotidiano (qui sono certo abbia acceso qualche fiammifero) e a trasformarlo in qualcosa di più astratto, che possa costituire una sorta di colore della sua tavolozza oppure acquisire uno strano ruolo ritmico, vicino col suo tramestio a quello di certi batteristi di area impro. A questo proposito – oltre all’elettronica e al digitale –  va aggiunto che qui ci sono anche vibrazioni di cimbali che si stendono lungo le tracce, per questo la mia testa va ai dischi recenti di Weis, Aquarius e Gregoretti, tre che di mestiere sono percussionisti e che quanto a capacità di tessere atmosfere quest’anno si sono dimostrati superiori, mentre qui qualche inciampo c’è: a mio avviso, se chiami un disco “Zolfo” e la title-track suona come un allarme antincendio, sei un po’ didascalico. D’altro canto, tolta qualche fase interlocutoria, ci sono un paio di passaggi validi: “Infrasound”, meditativa con un filo d’inquietudine, è davvero la fusione perfetta di tutte le tecniche adottate dai due, bene anche il modo in cui viene fatta divampare “Discourse 12”. La bravura per perfezionarsi in futuro c’è.