EQUAL MINDS THEORY, Equal Minds Theory

Equal Minds Theory

Sempre Russia, sempre Destroy The Humanity Studios, ma questa volta si ha a che fare con una bella sberla di furia iconoclasta, un micidiale miscuglio – solo apparentemente – insensato di sfuriate grind, schematismi math e bordate post-core al servizio di un caos controllato a stento, che lascerà piacevolmente sorpreso più di un estremista sonoro. Gli Equal Minds Theory non sono dei novellini e lo dichiarano a chiare lettere in ogni singola nota di un album pauroso come un giro sull’ottovolante senza cinture di sicurezza, capace di frenare all’improvviso prima di ripartire lungo traiettorie ai limiti del collasso dell’intera struttura, precise al millesimo eppure così ardite da sembrare sempre sul punto di cedere. La vera particolarità della scrittura in dotazione ai russi è rappresentata dagli stacchi in cui la bolgia si ferma e lascia spazio a digressioni quanto mai disparate e imprevedibili, veri e propri squarci nel tessuto sonoro dell’album. Non è un ascolto lineare, né semplice da affrontare, soprattutto se non si ha il giusto background in campo iconoclasta, ma il gioco vale la candela e questo si dimostra uno di quegli incontri casuali in grado di raddrizzare una giornata e di solleticare la curiosità anche nell’ascoltatore più smaliziato. “Lost Cosmonauts” fa collidere la furia del grind contro le aperture spacey della psichedelia voivodiana, per poi aprirsi verso dilatazioni melodiche dal forte impatto “visuale” di scuola post-metal, senza per questo perdere un’oncia di personalità o follia innata (gli strumenti sembrano colpiti a caso con noncuranza per dar vita a riverberi e echi). Non è facile esprimere a parole la sensazione di rilassatezza con cui questi guastatori buttano lì con perizia chirurgica cambi di tempo e linguaggio, brusche sterzate e rovesciamenti di fronte, a creare una dicotomia che rende alcuni passaggi da applauso e tiene sempre viva l’attenzione dell’ascoltatore. Il consiglio è quello di tenerli d’occhio perché sembrano pronti a scavarsi una piccola nicchia nel panorama estremo. Dalla Russia alla Relapse?