DEUS, Following Sea

Following Sea

La forza del gruppo di Tom Barman e Klaas Janzoons è sempre stata il saper combinare atmosfere intriganti col miglior rock di marca anglosassone. Ci sono riusciti con ottimi risultati almeno fino a The Ideal Crash, sopraffino esempio di scrittura pop applicata a consolidate strutture rock. Poi è iniziata la lunga fase calante del gruppo belga, i lavori successivi hanno cominciato a perdere la bussola, pur con qualche isolato guizzo (sparso qua e là nelle varie pubblicazioni, certo, ma nulla che si faccia ricordare, andando a memoria).

Allo stesso tempo risulterebbe ridicolo pensare che le migliori situazioni si possano riproporre paro paro con le stesse modalità di una volta. I Deus però commettono l’ingenuità di rifare proprio quei passi e purtroppo perdono in partenza, laddove una volta erano infallibili (a voi scovare i momenti più patetici del disco, ne abbiamo individuati almeno un paio). Non mancano frangenti dignitosi, sia chiaro: l’opening non è malvagio, la voce di Barman è ancora fiera della sua roca esposizione (vedi il pastiche noir di “Hidden Wounds”, che non dispiace per nulla) ma a conti fatti questo Following Sea pecca di un’evidente mancanza di ispirazione. Tutto ciò fa anche un po’ male, visto che per chi scrive sono stati un vero e proprio modello e ossessione (era la metà dei Novanta e, quando uscirono singoli come “Hotellounge (Be The Death Of Me)” e “Via” fu amore a prima vista), ma tant’è, questa è la situazione al momento. L’accettiamo senza batter ciglio e cerchiamo di scovare tra le pieghe di un suono-matrice (e di parole sempre e comunque importanti) quell’anelito che una volta ci faceva sussultare di gioia. In poche parole dobbiamo accontentarci di questo surrogato, non c’è altra via.

Tracklist

01. Quatre Mains
02. Sirens
03. Hidden Wounds
04. Girls Keep Drinking
05. Nothings
06. The Soft Fall
07. Crazy About You
08. The Give Up Gene
09. Fire Up The Google Beast Algorith
10. One Thing About Waves