DEAD IN THE DIRT, The Blind Hole

Dead In The Dirt

Ascoltare The Blind Hole è un po’ come raccogliere (a mani nude, s’intende) dei cocci di vetro, mischiarli con delle schegge di legno, aggiungere dei chiodi e poi ficcarsi la suddetta composta nelle orecchie, provando, per qualche insana ragione, del gran piacere nell’atto in sé.

Un disco grindcore duro e puro, che si presenta senza compromessi già dalla più superficiale occhiata alla sua scaletta: ventidue canzoni per un totale di nemmeno ventiquattro minuti, come a voler sostenere che la sostanza è sì tutto, ma anche l’attitude e la presentazione devono tener fede a quanto ci si aspetta di trovare. Feedback, dissonanze, voci scream e growl e tanta, tanta velocità ritmica in ogni declinazione possibile, dall’hardcore punk al crust e al grind delle origini, per sfociare in molte occasioni in rallentamenti che, di questi tempi, i più definirebbero “sludge”, ma che – a prescindere dal nome che si vuole affibbiare – non fanno altro che aumentare la pressione sonora sui timpani dell’ascoltatore.
È come se il trio avesse letto e mangiato un ipotetico manuale della musica estrema dal 1980 ai giorni nostri, ogni piccola influenza di movimenti e band seminali del caso è al suo posto e ogni singola canzone, ciascuna scheggia impazzita sparata dalle casse colpisce dritta dove deve, come ci si aspetterebbe da un disco del genere, come si vorrebbe. Aggressività a trecentosessanta gradi, addirittura canzoni che si stampano in testa, come il trittico composto da “Cop”, “No Chain” e “Will Is The War”, che ci propone un vero e proprio excursus attraverso il gusto estremo in diverse salse e interpretazioni: dal caos incontaminato fino alla lentezza oppressiva dei tempi cadenzati in chiusura della terza traccia.

The Blind Hole procede per assalti brevi e intensissimi fino alla fine, senza mai staccare la spina dell’intensità e della convinzione, fino ad arrivare alla conclusiva “Halo Crown”, piccola perla che guarda un po’ più in là, oltre i limiti imposti dai generi, spaziando verso direzioni che si spera i Dead In The Dirt possano intraprendere, non perché dispiaccia quel che propongono ora, ma piuttosto per aver fatto intravvedere un certo talento per l’approccio compositivo che fa del rumore ragionato e alternato alla melodia il proprio cavallo di battaglia.

Violenza ragionata e messa in pratica metodicamente, con capacità e stile genuino, cuore, intensità: cosa si può volere di più da un disco grindcore?

Tracklist

01. Suffer
02. The Blaring Eye
03. Swelling
04. Strength Through Restraint
05. Idiot Bliss
06. You Bury Me
07. Skullbinding
08. Mask
09. Cop
10. No Chain
11. Will Is the War
12. Baggar
13. One More Day
14. The Pit of Me
15. Caged
16. Starve
17. Vein
18. Pitch Black Tomb
19. The Last Nail
20. Two Flames
21. Knife in the Feathers
22. Halo Crown