CRYPTOPSY, The Book Of Suffering: Tome 1

CRYPTOPSY, The Book Of Suffering: Tome 1

I Cryptopsy possono essere considerati i progenitori di un certo death metal tecnico e brutale ormai in via d’estinzione. Pochi altri sono infatti così longevi nel settore del metal estremo, parliamo del resto di un gruppo in circolazione fin dal lontano 1988 (col nome di Necrosis). In seguito ad alcuni significativi cambiamenti di line-up, cinque album e la battuta d’arresto rappresentata dal disastroso Unspoken King del 2008, Flo Mournier (batteria) e soci sono tornati in forma nel 2012 con il loro settimo disco, che ha visto anche il rientro, purtroppo solo temporaneo, del chitarrista storico Jon Levasseur.

Quest’anno è la volta dell’ep The Book Of Suffering: Tome 1, composto da quattro pezzi per poco più di un quarto d’ora di durata complessiva. Il brano di apertura “Detritus (The One They Kept)” esplode in tutta la sua irruenza ed è oltremodo sorprendente, dato che in più di un momento il gruppo si allontana in modo sensibile dallo schema compositivo consueto: passaggi molto cupi si alternano infatti a cambi di tempo frenetici, mentre la voce di Matt McGachy, in evoluzione continua fin dal disco precedente, s’intreccia con la chitarra di Chris Donaldson fino a creare situazioni che lambiscono lidi quasi ambient. Quest’approccio consente ai canadesi di intraprendere direzioni musicali estreme del tutto nuove, mantenendo tra l’altro un elevato standard qualitativo. La cadenzata “The Knife, The Head And What Remains” rappresenta appieno il lato più tecnico dei Cryptopsy, grazie soprattutto al lavoro straordinario di Mournier dietro alla batteria, mentre la più melodica “Halothane Glow” esordisce su un acuto che può lasciare all’inizio perplessi per poi riprendersi con un passaggio di basso incisivo. L’unico problema con questo pezzo, come anche con la conclusiva “Framed By Blood”, brano di autentico brutal death metal privo di compromessi, è l’affinità troppo marcata di alcuni frangenti strumentali con lo stile dei Meshuggah.

In conclusione questo ep, complice una produzione eccellente e pur con le sperimentazioni effettuate, si rivela violento, rapido, incredibilmente efficace. Per gli amanti di lunga data del gruppo, ancora frastornati dalla direzione stilistica intrapresa con gli ultimi album, probabilmente The Book Of Suffering: Tome 1 non aggiungerà nulla di nuovo e non cambierà la situazione più di tanto. Tuttavia, in attesa della pubblicazione della seconda parte dell’ep, quanti (in verità pochi) tra di loro hanno avvertito comunque la presenza di incoraggianti segnali di ripresa nel disco omonimo del 2012 verranno catturati dal generale abbuiamento del suono e gioiranno finalmente della ritrovata coesione interna dei Cryptopsy.